True Detective 4, al via oggi su Sky Atlantic
«Night Country» è una sorta di ritorno alle origini con un tocco di soprannaturale che tanto piace
Una dichiarazione di intenti precede ogni immagine. True Detective 4, su Sky Atlantic da lunedì 15 gennaio, apre con un nome fra i titoli di testa. «Hildred Castaigne», si legge a caratteri bianchi, lo sfondo nero. Ed è un attimo. Il tempo scorre a ritroso e, d’improvviso, è il 2014, la prima stagione dello show, le dietrologie vomitate su Internet. Allora, si diceva che la chiave per comprendere il mistero della serie, per risolverlo davvero, fosse un libro, Il re giallo. La tesi dilagava sui forum, i fan speculavano, gli sceneggiatori muti. Nessuno rispondeva, nessuno commentava. Quello de Il re giallo, racconto datato 1895, sembrava poco più di un delirio complottista. Un delirio che, dieci anni dopo, attraverso i titoli d’apertura di True Detective, quarto capitolo dello show antologico, è stato rettificato. Hildred Castaigne non è una persona fisica, ma il narratore fittizio cui Robert Chambers, a fine Ottocento, ha affidato il proprio racconto. Avevano ragione i cervelloni da tastiera, dunque. E l’ammissione, ritrovarlo quel nome fra i titoli di testa della quarta stagione, è bastata a svelare il manifesto programmatico della produzione. Un manifesto cui i nuovi episodi dello show sanno tener fede.
True Detective 4: Night Country è una sorta di ritorno alle origini, dove il giallo è contaminato da una continua e inquietante presenza soprannaturale. Il caldo umido delle paludi, però, è sparito, rimpiazzato dal buio perpetuo dell’inverno in Alaska. Ennis è la città in cui tutto si svolge, inghiottita dalla Lunga notte. Il sole è tramontato un’ultima volta. La neve ha perso il proprio luccichio. Tutto è nero, tutto è spento. Ma, all’interno della Tsalal Arctic Research Station, stazione di ricerca, gli scienziati sembrano pronti a festeggiare. C’è musica, cibo. C’è la vita che vibra. Una vita di cui, tre giorni più tardi, s’è persa ogni traccia. È uno spedizioniere a chiamare la polizia. Avrebbe dovuto portare provviste al gruppo, ma, una volta varcata la soglia della base, non ha trovato nessuno ad accoglierlo. La televisione, però, è accesa e resti di sandwich giacciono molli nei piatti. Uno scherzo. Forse, la follia di un momento. Dove siano finiti gli uomini, perché abbiano abbandonato d’improvviso le proprie faccende, è frutto di congetture. Le autorità hanno poche idee. Ma, nell’ispezionare la base, qualcosa ne cattura l’attenzione: una lingua umana, sotto un mobile in cucina, sulla lavagna un urlo disperato. «Siamo tutti morti».
Il primo episodio di True Detective, stagione quattro, muove dal giallo tradizionale, da un caso di polizia, per sfociare prima della fine in altro. Visioni spettrali, un ritorno dall’Aldilà, corpi congelati nel ghiaccio, la lingua mozzata e la bocca spalancata in un grido muto. È l’orrore, così come è stato nella prima stagione: una dimensione sovraterrena che potrebbe esistere di per sé oppure essere la proiezione di un disagio interiore, la Lunga notte e la pazzia di chi la vive. Jodie Foster, nei sei episodi inediti dello show, è il punto di raccordo. Ruvida, grezza, una detective chiamata ad indagare sulla sparizione degli scienziati, lottando con Ennis, i suoi fantasmi, con un caso del passato e le leggende di un luogo dal fascino – televisivo – insindacabile.