Thohir e il razzismo selettivo del nostro calcio
Dall'attacco di Ferrero agli insulti della Christillin: il presidente dell'Inter e la difficoltà di essere accettato. Al contrario dell'americano Pallotta
Che Thohir non avrebbe avuto vita facile atterrando sul pianeta Italia era chiaro sin dai mesi della trattativa per rilevare l’Inter da Moratti. In fondo saliva su un carro dal passato (recente) fatto di vittorie, con un presente in declino ed estremamente costoso e con un futuro da costruire ripartendo da zero con la difficoltà di non poterlo dire troppo ad alta voce per non farsi subito schiere di nemici. Nessuna sorpresa, insomma, se un anno dopo il suo insediamento alla guida dell’Inter, l’indonesiano non gode ancora di buona stampa e se i molti nostalgici di Moratti e dei suoi soldi non perdano occasione per sottolineare le debolezze, vere o presunte, del piano di rilancio del club. A colpire, semmai, è la virulenza con cui il mondo del calcio italiano sta tentando di rigettare l’estraneo venuto dal Far East, trattandolo alla stregua di un faccendiere arrivato per farsi gli affari suoi.
La frase di Ferrero ("Ho detto a Moratti di cacciare quel filippino"), che potrebbe finire in Tribunale creando un precedente mai visto nel calcio italiano di un presidente che querela per diffamazione a sfondo razziale un collega, l'incredibile articolo pubblicato sull'Huffington Post da una persona altrimenti conosciuta per la sua pacatezza come Evelina Christillin, che lo ha definito "ciccione indonesiano" e "Cicciobello a mandorla". Perché il calcio italiano sta respingendo Thohir come un corpo estraneo? Perché lo tratta come l'Optì Poba dei dirigenti? Ci stiamo scoprendo tutti razzisti, non solo quelli brutti e cattivi che fanno 'buu' nelle nostre curve? Forse no, per fortuna. Ma il nostro è un Paese nel quale è più semplice pensare che un'indonesiano venda accendini in piazza piuttsto che comprarsi una società di calcio. Stereotipi duri a morire. Ancestrali.
Ferrero? Rovina l'immagine di tanti razzisti per bene
Nelle ore convulse dello strappo di Moratti, molti si sono affrettati a dipingere Thohir come un profittatore, che non ha tirato fuori un centesimo per acquistare la società, le impone prestiti a tasso d’usura e si è permesso di non seguire la tradizione dell’Inter (e non solo) secondo la quale ottobre è già il mese buono per cancellare un progetto, cercare soluzioni d’emergenza, cambiare allenatore e tentare a casaccio una strada nuova. In poche parole per buttare via soldi. Qualcosa di molto simile a quanto fatto per un ventennio da Moratti che, allora, veniva criticato proprio per l’instabilità delle sue scelte e oggi viene rimpianto perché Thohir non lo copia avendo chiarito ‘urbi et orbi’ che, su questa strada di gestione, l’Inter stessa non avrebbe futuro.
Sarà, forse, perché non si è presentato con montagne di euro da spendere come gli emiri di Manchester o Parigi. Sarà perché ha modi all’apparenza gentili, molto asiatici. Oppure sarà perché un sottofondo di razzismo ce l’abbiamo per natura e nessuno si è mai sognato di insultare Pallotta, che viene dall’America, invocandone la cacciata a “mozzichi dietro li ‘recchi”. A Thohir è capitato anche questo senza che qualcuno solidarizzasse con lui. Anzi, nella incresciosa vicenda delle parole di Ferrero, il massimo che si è registrato è stato il ‘no comment’ con distinguo sul dispiacere per Moratti (!) che lasciava. Un anno dopo Thohir sembra un Ufo precipitato su un pianeta ostile, fa niente se popolato in larga parte da imprenditori-presidenti dal passato spesso poco presentabile. Non è questione di fare un bilancio delle sue politiche, per questo c’è tempo. E’ proprio il fastidio che lo circonda. Forse non è un caso che il nostro sia il calcio più provinciale, e meno appetito dagli investitori stranieri, che si trova in giro per l’Europa.