Ultra-8
Courtesy of G. Talarico
Lifestyle

Ultra Europe, diario di tre notti insonni a volume altissimo

Al festival di musica elettronica di Spalato si balla fino all’alba, tra i giganti della dance e un pubblico da 143 Paesi

da Spalato

Più che una prova di resistenza, è uno spericolato braccio di ferro tra il corpo e il cervello. Con il primo così incline ad abbandonarsi, agitarsi, saltare in aria sin dal primo drop, il secondo ossessionato dal trattenersi, terrorizzato dal puntiglio dell’orologio: «Ne avrai per dieci ore, oggi, domani e pure dopodomani» sembra dirti già trafelato «stai calmo, vedi di dosare bene le energie». Ma più che dalla musica a volume esagitato, la coscienza è ammutolita dall’immane entusiasmo della folla: 120 mila persone da 143 Paesi, che da prima del tramonto stanno già cantando, urlando al cielo, ballando in modi frenetici, aggraziati oppure scomposti, come se nessun altro stesse lì a guardarli. Anche se il deejay è un quasi sconosciuto e non un gigante della dance, le hit dimenticabili, il palco esagerato ancora mezzo spento, lo spazio vitale per avanzare e indietreggiare tutto sommato decente.   

Eccoci a Ultra Europe, costola del Vecchio Continente dell’edizione della Florida, senza dubbio il festival di musica elettronica più importante al mondo. Qui in Croazia, a Spalato, è arrivato alla settima edizione e per tre giorni, dal venerdì alla domenica che poi a un certo punto invade il lunedì, ha riunito David Guetta, Afrojack, The Chainsmokers, Alesso, Nicky Romero, Dj Snake, Carl Cox, Armin van Buuren. Se non tutti, tanti dei deejay più venerati della terra. Fino all’apoteosi, il set degli Swedish House Mafia, che ricomponendosi hanno compiuto un doppio miracolo: hanno dimostrato che si può stare in apnea per 90 minuti netti filati, inondati da brani inediti che sono persino più belli di successi scolpiti da anni nella gola come Don’t you worry child o Save the world; che la musica elettronica vivaddio non ha età, perché accanto ai ragazzini abbronzati e palestrati, a ragazze punteggiate di strass con l’indispensabile di tessuto addosso, ecco spuntare uomini di mezza età con la pancia e i capelli bianchi, sul braccio il tatuaggio di Steve Angello (uno dei magnifici tre della banda degli Swedish), tutto il fiato, il coraggio e la convinzione di gridare: «I can promise you, I am a dreamer too». Posso garantirtelo, sono un sognatore anch’io.

Solo chi ha frequentato queste maratone travestite da concerti può capire la quantità di emozioni che ci si trova scaraventate addosso: lo stupore per un luogo da esplorare, con le sue diverse aree per la musica, le zone per mangiare, i bagni con le file disordinate (e l’igiene rivedibile), i bar e i negozi del merchandising che diventano punti di riferimento, elementi familiari del paesaggio dove ritornare, incontrarsi e incrociarsi. Quella curiosità strana e straniante di ciò che inizia che diventerà nostalgia quando sarà finito. Poi, ventate di sciovinismo in tappeti di bandiere, quel modo basilare e istintivo di cominciare una conversazione: «Where are you from?», da dove vieni? Un lasciapassare universale. Fino al magnetismo irresistibile del palco principale, una radiolona di taglia spropositata che lancia suoni, erutta luci, mitraglia fuochi d’artificio. Un ciclope con il suo occhio solo, il logo di Ultra. Il pulsante d’accensione del divertimento.

Questi riti di massa sono mondi paralleli con le loro popolazioni. O ceti sociali, evidentemente. I vip, quelli che hanno pagato di più per non fare la fila ai controlli all’ingresso, hanno i bagni riservati, se ne stanno appesi su due ali di spalti con bar dai prezzi proporzionati alla loro opulenza effettiva o presunta. Senza i listini da infarto dei tavolini dei club più chic d’Ibiza o Las Vegas, comunque con le fiamme scintillanti e il petardino nel ghiaccio per ogni bottiglia ordinata e quel corollario pacchiano d’ostentazione di uno status. Da lassù la distesa di corpi del prato fa impressione, ma la musica arriva un po’ ovattata. Come in un palazzo imperiale che tiene le finestre chiuse sulla rivoluzione.

Poi, quaggiù sulla spianata che guarda il ciclope, ci sono le anime delle retrovie. Hanno qualche centimetro in più per saltare, sono nell’azione ma solo fino a un certo punto. E ci sono i più incalliti, quelli che sgomitano, s’intrufolano, si fanno largo a colpi di «sorry», mentendo spudoratamente con allusioni vaghe a qualche amico che li aspetta più avanti. Non si danno pace finché non sono quasi sotto la console, diventano mattoni di un muro umano in cui ci si muove sì, ma all’unisono. In cui ci si sposta per onde d’urto, si salta più in alto perché migliaia di braccia hanno scacciato via litri d’aria, creando un vuoto da riempire avvicinandosi al cielo che albeggia.  

I giorni passano, la stanchezza che teorizzava il cervello si affaccia puntuale, ma poi arriva quell’hit preferita, quel remix inatteso, quel mash-up indovinato (due brani sovrapposti) che sono una scossa improvvisa. In quest’universo alternativo ci si ricarica all’incontrario: muovendosi. È come avere incorporato un altro fuso orario, in cui la notte coincide con la veglia, di giorno si sonnecchia aspettando che riaprano i cancelli. Già, Ultra è un altrove con il suo ritmo, i suoi tempi, le sue stereotipie: i deejay che chiedono di tirare su le mani, di cantare e di ballare, che domandano come ci sentiamo e se stiamo passando le notti più belle della nostra vita. La risposta, per tantissimi, pare essere un sì.

Finché, proprio prima degli Swedish House Mafia, si mette a suonare un altro trio. Si chiamano Above & Beyond e sono sulla scena da vent’anni. Fanno trance, una versione estatica e quasi contemplativa della dance. Mentre gli altri deejay urlano e si sbracciano con discreta tamarraggine, loro non dicono una parola. Piuttosto, le scrivono su un computer che le proietta su uno schermo gigante: «La vita è fatta di piccoli momenti come questo», «La musica ci riunisce tutti», «Siamo fortunati a essere qui con voi». Sono haiku di bit seminati nelle note elettroniche, fulmini di silenzio in un paesaggio dal volume altissimo. Sarà l’esperienza, ma questi veterani più di tutti sanno catturare e definire l’essenza del momento: «This is happiness amplified». Questa è felicità amplificata.

I mille effetti speciali del palco di Ultra Europe

Courtesy of G. Talarico

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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