Sul palco sarà ancora «Gloria»
Dalla prima chitarra comprata per 1.500 lire fino al perché, nella canzone Ti amo, parla di un «guerriero di carta igienica». Umberto Tozzi si racconta a Panorama e anticipa il suo tour estivo. Tutto acustico.
La canzone Ti amo che risuona potente accompagnata da un coro di monaci in una delle scene cult della serie tv La casa di carta, le note di Gloria nelle colonna sonora di Flashdance, ma anche di The Wolf of Wall Street, il bestseller di Martin Scorsese con Leonardo DiCaprio, e poi ancora Gloria sparata a tutto volume nel retropalco dell'ultimo comizio da presidente di Donald Trump nel giorno della marcia su Capitol Hill… Ne hanno fatta di strada le canzoni di Umberto Tozzi, 80 milioni di dischi venduti nel mondo, 45 anni di carriera e un tour «unplugged» estivo, il primo della sua carriera, che prende il via il 5 luglio sul palco dello Stupinigi Sonic Park a Nichelino (Torino).
«Mi piace spogliare le canzoni, presentarle nella loro essenza, perché è in quel momento che capisci quanto vale veramente un pezzo. Quest'estate mi divertirò così, con una scaletta di grandi successi, ma anche di brani dei miei album che non ho mai cantato dal vivo. Dopo un anno e mezzo tremendo, ricomincio da qui», spiega prima di addentrarsi tra le pieghe di una storia, la sua, iniziata nel pieno della golden age della musica italiana, ovvero nei primi anni Settanta quando i cantanti non erano uomini soli rinchiusi nelle loro camerette con un pc, ma il centro di un business intorno a cui ruotavano professionisti della discografia, produttori e manager che sapevano scovare talenti e costruire carriere.
«La trap e il rap di oggi non mi emozionano, non mi dicono niente. A me piace la vocalità che esalta la melodia... Vengo da un'altra generazione di artisti: io ho iniziato alla Numero uno, la storica casa discografica milanese di Mogol. Andavo in quegli uffici dove bazzicavano Eugenio Finardi, Edoardo Bennato, Gianna Nannini, e aspettavo che qualcuno mi ingaggiasse come turnista per fare i cori o suonare la chitarra. Poi, scrissi Un corpo e un'anima per Wess e Dori Ghezzi, il pezzo andò benissimo ed entrai in contatto con Alfredo Cerruti e Giancarlo Bigazzi (discografici, ma anche componenti degli Squallor, ndr) che mi convinsero a metterci la faccia non solo come autore, ma come interprete... Io non volevo, non mi attirava l'idea di fare il frontman» ricorda. «Per dirla chiaramente, ho anche avuto culo, perché nella musica il talento non basta, bisogna anche incontrare le persone giuste. Artisticamente faccio parte di una generazione molto creativa e capace di scrivere melodie potenti, originali, capaci di varcare la frontiera di Chiasso... Me ne resi conto quando la versione di Ti amo cantata da Dalida andò al primo posto nelle classifiche francesi. Mi fa sorridere pensare che tutto è iniziato con una chitarra acustica lasciata a casa da un musicista che suonava con mio fratello. Appena l'appoggiai sulla pancia capii che era il mio strumento. Poco dopo, ne comprai una tutta mia per 1.500 lire» rivela.
Il primo successo internazionale non si scorda mai, soprattutto se la sera in cui vinci il Festivalbar rimani muto e al buio sul palco dell'Arena di Verona davanti a 15 mila persone. «Fu surreale. Per due volte durante l'esecuzione di Ti amo saltò l'interruttore generale. Tutto spento, non funzionava nulla. A un certo punto mi venne il sospetto che qualcuno avesse fatto saltare la corrente di proposito, non si era mai vista una cosa del genere» sottolinea lui che negli anni Settanta è stato regolarmente massacrato dalla critica che allora aveva orecchie solo per la musica impegnata e militante.
«Di sicuro non facevo parte della cricca del cantautorato. A quei tempi mi dava molto fastidio l'approccio dei giornalisti che infierivano pesantemente sul mio repertorio che aveva come unico torto quello di avere troppo successo. All'inizio ci rimasi male, ma mi consolai presto con i riscontri in tutto il mondo che mi hanno ripagato ampiamente del massacro a cui sono stato sottoposto in Italia».
Di Ti amo si sa tutto, anche se da più di quarant'anni aleggia un mix inestricabile di mistero e leggende metropolitane sulla strofa più enigmatica del testo: «Apri la porta a un guerriero di carta igienica»… «Non potevamo dire "apri la porta a un pezzo di merda", quindi optammo per la metafora del guerriero di carta igienica: la canzone parla infatti di un uomo che torna a casa dalla sua compagna dopo averne combinate di tutti i colori» spiega, entrando nel merito della sua storica collaborazione con il produttore e paroliere Giancarlo Bigazzi. Un sodalizio che ha prodotto hit e milioni di copie vendute in tutto il mondo: «Gloria, giusto per fare un esempio, l'abbiamo fatta in quattro ore. Lavoravamo così, ci vedevamo raramente, ma poi quando ci incontravamo scattava una chimica pazzesca. Giancarlo mi chiedeva spesso di portargli dei provini, ma io sono sempre stato molto pigro. Una volta, mi disse: "Tu sei una Ferrari con il serbatoio pieno ma che non esce mai dal garage". Ricordo ancora la collaborazione per un disco insieme a Mogol. Esordì dicendomi "guarda Umberto che io non lavoro più di due ore al giorno". Lo rassicurai subito: tranquillo Giulio, io anche di meno».