L’Uomo Ragno e il potere del sogno
La Rubrica - Stili Umani
Il genere di musica che ho sempre amato è il rock e il cantautorato italiano, con artisti come De André, Ivano Fossati, Battiato e altri. Per questo il mio approccio alla serie trasmessa su Sky intitolata “Hanno ucciso l’uomo ragno-la leggendaria storia degli 883”, è stato piuttosto timido. Durante la prima puntata, il mio commento è stato: "mah". Non avevo un'idea precisa: bravi gli attori, certo, ma io amo Mick Jagger, quindi: "mah".
Andando avanti, invece, mi sono detta: "Cavoli, ma in questi dialoghi ci sono parole che non sentivo da tempo!" Una su tutte è la parola "sogno". Ho pensato a quante parole hanno sostituito "sogno": obiettivi, uscire dalla comfort zone, e poi dalla discomfort zone per raggiungere i tuoi risultati. Ho sentito dire e ho anche detto: "progetto"; bisogna avere un progetto, e poi costruire un personal brand, e infine tornare a visitare la comfort zone e la discomfort zone, rinnovando obiettivi chiari e raggiungibili, come recitano i migliori manuali. Ma sogno, chi lo dice più? A chi interessa?
In questa serie televisiva ho ritrovato l'importanza di sognare. Vedere al di là di ciò che siamo, immaginare ciò che possiamo essere, o ancora meglio, quello che ci piacerebbe essere. Max Pezzali e Mauro Repetto, interpretati rispettivamente da Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli, lo ripetono in continuazione: abbiamo un sogno. Ne parlano come se fosse un oggetto, un piccolo tesoro da proteggere, che appartiene a loro e che insieme cercano di mantenere intatto e far crescere.
Utilizzano poi una non trascurabile autoironia, così rara e anacronistica da aprire uno spiraglio di leggerezza in un mondo di like e visualizzazioni che impone un'immagine di noi precisa e studiata. Questi due personaggi hanno una disarmante spontaneità e genuinità nel dire: "Non sappiamo suonare, non sappiamo ballare, ma abbiamo il nostro sogno", cioè quello di cantare, di avere successo e di entrare in un mondo musicale a loro più congeniale.
Non erano fatti per una vita ordinaria, lo sapevano, e sognavano di scalare le classifiche. Hanno inseguito il loro sogno, o chissà, forse è il loro sogno che ha inseguito loro. E su quei palchi ci sono saliti con l'umiltà e lo stupore di chi non ha l'arroganza di sapere tutto, con la volontà di imparare e il rispetto per sé stessi, per non tradire il proprio sogno. E, alla fine, questa serie ha portato a sognare anche me.