l cambiamento climatico, lo spauracchio di etichette funeste al grido «Bacco nuoce alla salute», l’inasprimento delle sanzioni previsto dal nuovo Codice della strada in caso di tasso alcolemico elevato alla guida e la pirotecnica minaccia trumpiana dei dazi al 200 per cento. Ultimamente non si fa altro che parlare di «tempesta perfetta del vino». Senza voler minimizzare, è pur vero che un marinaio degno di chiamarsi tale si misura tra le onde e non con il mare calmo.
Il banco di prova per testare nervi e aplomb dei produttori è la 57esima edizione di Vinitaly, Salone internazionale dei vini e dei distillati, in scena a Verona dal 6 al 9 aprile 2025. A giudicare dai numeri, quattromila aziende presenti (leggasi sold-out di espositori) e 1.200 top buyer da 71 Paesi, e a voler curiosare tra le grandi e attesissime novità, in primis il debutto dei vini dealcolati e quello di Vinitaly Tourism (un’intera giornata di focus e convegni dedicati al potenziamento dell’enoturismo), sembra davvero che nessuno abbia intenzione di farsi piegare dalla congiuntura sfavorevole.
Per fare il punto sulla situazione dei vini italiani Panorama ha incontrato Massimo Romani, amministratore delegato di Argea, il più grande gruppo vitivinicolo privato italiano. Conta oltre 550 collaboratori, ha all’attivo 170 milioni di bottiglie vendute tra Italia e mondo e ha chiuso il 2024 con ricavi pari a 465 milioni di euro, segnando un più 3 per cento sul 2023.
Considerate tutte le criticità che il settore sta attraversando, che Vinitaly sarà?
L’ultimo annuncio di Trump sui dazi al 200 per cento non era previsto, devo ammetterlo. Detto ciò, per quanto ci riguarda, gli appuntamenti che abbiamo fissato a oggi sono assolutamente rassicuranti. Sarà un successo, un’edizione da tutto esaurito, come quella passata del resto.
Un successo che forse si dovrà anche all’atteso debutto dei vini dealcolati?
Sicuramente c’è molta curiosità sul tema, anche da parte del mercato americano. Noi siamo stati tra i primi a crederci e siamo felici che sia stato approvato il decreto che consente la produzione di vini «no e low alcol» anche in Italia, cosa impensabile soltanto fino a pochi mesi. Abbiamo colmato un gap con i competitor.
Una rivoluzione per il nostro Paese così conservatore. Siete soddisfatti o c’è margine di miglioramento?
Si può e si deve migliorare. I francesi e i tedeschi, anche se rispetto a questi ultimi non nutro particolari timori, possono dealcolare anche i vini Igt, pratica a noi italiani non consentita. Attendiamo fiduciosi e nel frattempo continuiamo a lavorare su «ciò che abbiamo» nella prospettiva della qualità.
A che punto siete?
Ho seguito personalmente prove fatte negli ultimi due anni e devo dire che sui bianchi e sugli sparkling abbiamo raggiunto un buon livello. I prossimi 18 mesi saranno decisivi per alzare ancora di più l’asticella.
Il Vinitaly sarà un test interessante. Una sorta di primo passo alla conquista di tutti quei Paesi economicamente forti,
in cui però il consumo di alcol è illegale?
Non c’è alcun dubbio. Tempo al tempo.