Zero Dark Thirty: 5 cose da sapere
Kathryn Bigelow e il suo nuovo film sulla caccia a Bin Laden, tra attacchi, difese e premi
L’ex moglie di James Cameron, prima donna nella storia a vincere un Oscar come miglior regista, si rimette con grinta dietro la macchina da presa e, dopo aver raccontato i retroscena della guerra in Iraq in The Hurt Locker, ora con Zero Dark Thirty si concentra sulla caccia all’uomo più seguita degli ultimi anni: quella a Osama Bin Laden. E la racconta secondo uno sguardo di donna, l'attrice Jessica Chainstain, nel ruolo di una tostissima agente della CIA specializzata nella cattura di terroristi.
Ecco cinque cose da sapere sul film.
1. Nomen omen. Partiamo dal titolo: Zero Dark Thirty, termine tratto dal gergo militare che sta ad indicare, spiega la regista Kathryn Bigelow, “trenta minuti dopo la mezzanotte”. In sostanza, quel lasso di tempo avvolto nel buio della notte che consente di attaccare “senza farsi vedere”. Per portare tutto questo sullo schermo, non a caso, sono occorse tecnologie innovative e apparecchi ad alta sensibilità luminosa, così da poter girare senza problemi anche in condizioni di scarsa visibilità.
2. Squadra che vince non si cambia. A firmare uno dei film più discussi e attesi dell’anno è ancora una volta la coppia formata dalla Bigelow e dal giornalista e sceneggiatore Mark Boal, che dopo The Hurt Locker torna a occuparsi dei temi più delicati e scottanti d’America. Allora la guerra in Iraq, stavolta la caccia e la cattura di Osama Bin Laden. Lo stile resta lo stesso: uno sguardo personale (qui affidato a Maya/Jessica Chastain) e una narrazione che marca stretto i fatti, sul filo della cronaca, vicinissima al videogiornalismo d’inchiesta.
3. Tana per Osama. Una caccia durata dieci anni per il nemico pubblico numero uno, quello che la regista stessa definisce “l’uomo più pericoloso del mondo”, catturato infine, com’è noto, da un gruppo di agenti della CIA. È proprio sul tortuoso quanto avvincente percorso d’indagini per arrivare al famigerato blitz che il film si concentra, indulgendo su retroscena e dettagli anche scabrosi, e raccontando in 157 minuti l’intenso lavoro di un team che non si è mai arreso, impegnando ogni forza in quella che agli occhi di tutti si configurava come una sorta di “mission impossible”.
4. Gli attacchi al film. Prevedibile la pioggia di polemiche, legate soprattutto alle scene di tortura nella pellicola (le così dette “tecniche di interrogatorio forzato”). C’è chi lo ha definito "il film più moralmente discutibile, ottuso e sopravvalutato" dell’anno, chi ha voluto addirittura inviare una lettera di rimostranze all’attenzione dei vertici della Sony Pictures. Così hanno fatto tre senatori americani (Dianne Feinstein, John McCain e Carl Levin) definendo il film "grossolanamente non accurato e fuorviante", e sottolineando come “rappresenti una versione romanzata della verità (...) La CIA non ha appreso l'esistenza del rifugio di Osama Bin Laden utilizzando metodi coercitivi sui prigionieri”. Dal canto suo, la Bigelow ha ribattuto: “Come filmaker avevo la responsabilità di documentare e testimoniare”, e anche: “Incoraggiamo le persone a vedere il film, prima di farsi un'idea". Tra le voci amiche a sua difesa anche Michael Moore, che lo ha definito un film “contro la tortura: ne mostra solo la feroce brutalità”.
5. And the Oscar goes to... Riuscirà la prima donna vincitrice dell'Oscar per la miglior regia nella storia a battere se stessa dopo che tre anni fa, con The Hurt Locker, portò a casa ben sei statuette? La risposta, sulla carta, è già negativa, anche perché il film (che vanta già parecchi riconoscimenti prestigiosi) ha avuto “solo” cinque nomination, per miglior film, sceneggiatura originale (Mark Boal), montaggio, effetti sonori. E poi c’è la candidatura dorata di Jessica Chastain come miglior attrice protagonista da non sottovalutare, soprattutto ora che la rossa interprete californiana si è aggiudicata uno sfavillante Golden Globe .