Aymeline Valade si racconta
Photography Ezra Petronio, styling Sissi Vian
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Aymeline Valade si racconta

"Ogni volta devo diventare una persona diversa" dice la protagonista delle cover story del numero 12 di Flair.

È tutta in questo continuo tremito delle labbra che si frappone tra una parola e l’altra, Aymeline Valade: nella sua esigenza disperata di essere capita, ripetuta più volte passando dall’inglese al francese all’italiano, lingua che parla con straordinaria padronanza. La giornata a Parigi è torrida, e lei indossa un maglione di cashmere con la scollatura a V, pieno di piccoli fori irregolari, una scelta contemporaneamente casuale ma anche un piccolo manifesto d’intenti nei confronti del mondo tutto quanto. «È un Hermès vecchio di quindici anni, usurato dal tempo e dalle cadute con lo skateboard». Sport che pratica da sola, per strada, mica negli skatepark strapieni di gente, che proprio non ama. «La verità? Non mi compro vestiti da una vita». Le scarpe sono le stesse dai tempi dell’università. La canotta nera? «Regalata». Perché ci tiene a cesellare una distinzione, prima di tutto: «Non sono una modella. Faccio, la modella. E di come appaio non mi frega nulla», rimarca, in italiano, con gli occhi azzurri che sembrano uscirle dalla testa per assestare un colpo in fronte all’interlocutore e inchiodare con maggiore cura i propri concetti. Quando il capitolo “esistenzialismo e look” sembra concluso, ad esempio, lei prende inaspettatamente la rincorsa e riparte. «Odio», dice, «chi impiega una mattina intera per curarsi le unghie. Non ha senso perdersi in certe sovrastrutture. Bisogna ricordare sempre che la vita è una cosa molto semplice». Casa sua ad esempio è così, simile all’esistenza per come lei la racconta, vuotissima e pienissima a un tempo. Nata a Montpellier trent’anni fa, educata all’antica, laureata in giornalismo, lanciata da Balenciaga a Milano e poi protagonista di decine di campagne, da Etro a Lanvin, da Donna Karan ad Alexander McQueen. Fino al suo nome che scorre in testa ai titoli di coda di Saint Laurent, il biopic di Bertrand Bonello sul grande stilista francese, dove interpreta la musa Betty Catroux. Ah, e poi ci sono quelle labbra che vibrano, a nascondere tratti biografici privatissimi e forse non proprio facili.

La top model Aymeline Valade fotografata da Gregory Harris per una delle cover story di FlairPhotography Gregory Harris, Styling Tony Irvine

«Nel mio appartamento non c’è niente, dicevamo», irrompe, prima che si scivoli nell’agiografia: «In camera mia soltanto il letto e un séparé per svestirsi. Gli altri mobili e le sedie li ho trovati per strada raccolti, riparati, colorati e adattati ai miei gusti». Chiacchieriamo solo da cinque minuti e venticinque secondi, in un bistrot di rue Charonne nel quartire Bastille, e Aymeline Valade ha già detto tutte queste cose. Un flusso di vita originale e impetuoso. Che purtroppo s’interrompe di colpo, quando il tono cambia e il sorriso si trasforma in broncio, e d’un tratto decide di schiacciare il tasto rewind su quanto condiviso fin qui. «Ma questa è vita privata, non ne parlo più. La gente non capisce. La gente giudica». E a nulla serviranno le rassicurazioni, le carezze, gli “abbi fiducia”: ciò che verrà fuori da quest’intervista, ormai ne è certa, non sarà per niente la vera lei, ma soltanto «il fantasma», sono sue parole, che l’interlocutore si sarà costruito nella mente e avrà deciso di proiettarle addosso. «Ho studiato giornalismo, ma dopo aver fatto uno stage in due redazioni ho deciso di non continuare. L’informazione non si basa più sulla razionalità, ma sull’emozionalità. A nessuno interessa più cosa è vero e cosa no. E questo è osceno», dice a capo chino, mentre si fa avvampare da un flusso di pensieri non nuovo, si direbbe. (…)

 

Si può leggere l’intervista integrale a Aymeline Valade, sul numero 12 di Flair in edicola dal 18 settembre con Panorama.

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Raffaele Panizza