Comprare un figlio si può (per la Corte UE)
La modernità scientifica coniugata ad un relativismo giuridico che fa scempio dei valori etici potrebbe condurre, un giorno, a rendere ordinario, accettato, qualcosa che di normale non è.
Follia? Abominio puramente teorico degno di un romanzo di Asimov?
Macché.
La verità è che l’attualità supera la fantasia: chiedere alla Corte UE, per conferma; e mi riferisco all’ultima sentenza contro la Danimarca in materia di maternità surrogata.
“C’è del marcio in Danimarca”, diceva Shakespeare nell’Amleto e debbono averlo pensato i Giudici che hanno partorito la ‘geniale’ pronuncia della Corte di Giustizia Europea nel condannare la Danimarca semplicemente per il fatto di avere, nel proprio ordinamento, una legge che vieta il riconoscimento dello stato genitoriale a chi ‘compri’ i figli attraverso procedura di maternità surrogata.
Il ricorso che ha provocato questa condanna nasce dal caso di una signora danese che, non potendo avere figli propri, in luogo di accedere alle procedure di adozione, ha pensato bene di recarsi con il coniuge fertile in Ucraina (ovviamente prima dello scoppio del conflitto) per pagare una donna affinché, con il seme del consorte, partorisse i figli in sua vece.
Nascevano così due gemelli, riconosciuti dal marito e perciò dotati di nazionalità danese, bambini che la coppia riportava in Danimarca svolgendo poi domanda di adozione da parte della ‘madre’ surrogante.
Peccato che i giudici del paese scandinavo negassero risolutamente il diritto di questa madre ‘pagante’ a diventare genitore dei bambini, accettando unicamente che ne avesse la custodia.
Alla donna questo non è bastato e, esauriti i gradi di giudizio, si rivolgeva alla Corte di Strasburgo la quale, sanzionando la Danimarca, ha riconosciuto che le leggi in vigore in questo Paese penalizzassero i bambini e i loro interessi.
Insomma, siamo sempre al solito problema di un potere giudiziario che si sostituisce a quello legislativo, espressione della volontà del popolo nelle moderne democrazie.
La CEDU non dice che la maternità surrogata sia lecita ma usa espressioni ambigue nel sostenere che bisogna trovare il giusto equilibrio fra norme volte a limitare gli effetti negativi della maternità surrogata a pagamento e gli interessi dei bambini.
Peccato che, di fatto, condannando la Danimarca, i giudici europei operino una scelta di campo che è chiara e conduce – una volta ancora – verso il mercimonio dei figli.
Ci stiamo avvicinando pericolosamente, a passi sempre più spediti, a questo risultato perché il secolarismo dei valori inaugurato dalla Rivoluzione francese agisce un po’ come le dinamiche di Borsa, per chi se ne intende: al di là delle fluttuazioni congiunturali dei titoli nel breve-medio periodo, la direzione è sempre solo una e punta verso l’alto.
Come l’acqua che scende dalla montagna: la puoi irregimentare in un canale, vincolare con una diga, creando laghi artificiali o bacini di raccolta ma questa punterà sempre a valle.
L’antico retaggio cristiano del mondo occidentale ogni tanto sembra ricordarsi delle proprie origini e pone uno stop a condotte contrarie all’etica dei Vangeli ma, puntualmente, arriva qualcuno che allenta la morsa dei divieti.
Il paradosso è che questo ‘qualcuno’ siede spesso sugli scranni di chi deve decidere e pensa di poter camuffare attraverso la logica giuridica una volontà precisa di scardinare le norme che hanno una storia e una ragione giustificatrice basata su antichi valori e sul diritto positivo.
Come si può contrastare questa deriva?
C’è poco da fare: l’Unione Europea è una realtà e occorre adeguarsi alle indicazioni che provengono dai suoi organi.
Certo, politici e governanti potranno fare sfoggio di fermezza e autonomia, richiamando le tradizioni culturali e la volontà popolare, ma quando si entra in un club ci si deve adattare alle sue regole.
Regole che, sempre più spesso, sdoganano condotte che cozzano contro i nostri più profondi convincimenti.
Delle due l’una: o ci adattiamo o…. ci adattiamo.
“Signora, di gemelli me ne sono venuti tre, che faccio, lascio?”.
Benvenuti nel futuro.