Sarà il 21° secolo la nuova età dell'oro per i metalli?
Cop28 non ha risposto a molte domande, soprattutto in concreto. Ed i problemi, come le soluzioni, sono sempre le stesse
Qualcuno potrebbe ritenere che l’accordo raggiunto alla COP28 circa la “graduale eliminazione dei combustibili fossili” sia da considerarsi un successo visto che pare abbia scontentato tutti. Quello che emerge con chiarezza, tra le tante contraddizioni, è che dopo il secolo del carbone e quello del petrolio, il XXI potrebbe essere quello dei metalli. Molto più verosimilmente sarà quello del gas naturale, prontamente definito combustibile della transizione, mase venisse anche solo triplicata la capacità di eolico e fotovoltaico, saremmo comunque alle porte di un superciclo dei metalli.
Nell'ultimo decennio le compagnie petrolifere hanno dovuto tentare di risolvere un trilemma costituito dalla necessità di mantenere parte del loro core business per evitare di scomparire, retribuire i propri azionisti e, nel contempo, investire nella transizione energetica. Ma se oggi queste compagnie minerarie tendono ad evolversi in società energetiche globali con investimenti nel solare, nell'eolico, nelle batterie e nella distribuzione di gas ed elettricità lasciano aperto un quesito strutturale: chi approvvigionerà i metalli, il “petrolio del XXI secolo”?
La transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio richiederà l'elettrificazione di tutti gli usi, dai trasporti, che consumano quasi il 60% del petrolio mondiale alla produzione di energia elettrica dove è ancora il carbone (36%) la principale fonte mondiale di elettricità. Per ogni nuovo gigawatt (GW) installato di tecnologie a basse emissioni di carbonio sono necessarie quantità di metalli di base e geochimicamente rari mai estratte prima, un veicolo a combustione interna utilizza 50 chilogrammi di materie prime critiche, rispetto ai quasi 200 di un veicolo elettrico.
Quello che, a nostro avviso, è mancato alla COP28, così come nelle precedenti, è stata la capacità, o la volontà, di delineare un percorso realistico per definire i necessari interventi alle supply chain globali a renderle resilienti di fronte ad un’economia che rimodellerà il panorama energetico globale, dove i paesi produttori di metalli diventeranno una pietra miliare delle relazioni internazionali sostituendo gli attuali produttori di combustibili fossili.
Inoltre questa transizione metallica pone, anch’essa, un trilemma, di cui, nelle due settimane di accese discussioni, si è sentito solo qualche vago accenno. Da un lato vi è il quesito della effettiva disponibilità delle materie prime necessarie, mai compiutamente affrontato, il secondo è quello della capacità dell’industria mineraria, ad oggi palesemente sottocapitalizzata, di riuscire nell’intento di estrarle e raffinarle. Il terzo aspetto è costituito dai rischi posti dal livello di concentrazione di produzione e riserve della loro catena di approvvigionamento di gran lunga superiori a quelli della materia prima più scambiata al mondo: il petrolio.
L’evoluzione del quadro geopolitico, davanti agli sviluppi ecologici globali, vedrà al centro i paesi produttori di minerali e metalli, oggi in secondo piano nella transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio, rispetto ai paesi che sviluppano innovazioni tecnologiche. Lasciando presagire il potenziale sviluppo di cartelli, finalizzati a gestire il monopolio di una o più materie prime critiche: si pensi, oggi è solo un’ipotesi, all’OPEC del litio nell’America del Sud.
Perché se garantire la transizione verso le energie rinnovabili è una questione globale, la risposta è locale perché l'estrazione mineraria avviene in aree geograficamente definite e limitate e l’industria estrattiva, in quei territori, interromperà o minerà in una certa misura la resilienza climatica locale. Saranno queste popolazioni, i potenziali perdenti della transizione, chepotrebbero scegliere di non accettare il ruolo di vittima sacrificale dell’ideologia climatica occidentale e chiedere le giuste compensazioni che i loro sacrifici comportano, fino al caso in cui le loro proteste non portino alla chiusura dell’attività estrattiva.
Presto i reali problemi relativi all’accesso alle materie prime per il Nord globale non saranno la sterile denuncia dell'ingiustizia della delocalizzazione dei danni ambientali ma i vincoli imposti alla costruzione delle infrastrutture per le energie rinnovabili dalla indisponibilità delle materie prime o dal loro costo, come ha recentemente sperimentato l’industria eolica europea.
Cambiamenti repentini, come quelli che a cui stiamo assistendo nel mercato globale del rame, dove solo pochi mesi fa, l'International Copper Study Group (ICSG) prevedeva un eccesso di produzione di 467.000 tonnellate per il prossimo anno. In poco più di un mese la situazione si è capovolta. Un referendum popolare, a Panama, ha costretto a chiudere le operazioni di Cobre Panama, una delle più grandi miniere di rame del mondo, (Senza rame la transizione energetica è una costosa fantasia - Panorama) dopo che la Corte Suprema panamense ha annullato la licenza operativa della compagnia mineraria canadese First Quantum Minerals togliendo di fatto dal mercato 400.000 tonnellate di rame all'anno.
Contemporaneamente Anglo American, una delle prime cinque compagnie minerarie globali, ha ridotto di circa 200.000 tonnellate all’anno le previsioni di produzione del metallo rosso delle sue attività in Sud America per i prossimi due anni. Risultato: il mercato del rame raffinato sarà in deficit l'anno prossimo e, secondo Goldman Sachs, non siamo che all’inizio, il mercato sta chiaramente entrando in un periodo di inasprimento.
Ma vanno osservati criticamente anche gli sviluppi a lungo termine: l’Indonesia dal 2018 al 2022 ha quasi triplicato la produzione di nichel, oggi soddisfa circa la metà della domanda globale, attraendo enormi investimenti con le sue agevolazioni all’attività estrattiva. Ma un paio di mesi fa il governo indonesiano ha posto il divieto alla costruzione di ulteriori fonderie di nichel che utilizzano la tecnologia Rotary Kiln-Electric Furnace (RKEF) per la semplice ragione che le riserve indonesiane di minerale di nichel di alta qualità che le alimenta si esauriranno entro il 2030 (Nichel: il futuro dell’offerta è nella transizione tecnologica dell’Indonesia - Energia (rivistaenergia.it). L’attività estrattiva dovrà concentrarsi su un minerale di qualità inferiore la cui raffinazione imporrà un cambio tecnologico e nuovi importanti investimenti oltre, per alcuni, al mancato ammortamento di quelli già effettuati.
Se storicamente i conflitti sulle materie prime si sono concentrati su quelle energetiche, il contesto della duplice transizione digitale ed ecologica sta esacerbando la competizione sui mercati dei metalli tecnologici tra Cina, il principale attore nella produzione dei metalli, e Occidente, guidato da Stati Uniti ed Europa, i promotori della transizione “verde”. Quanto abbiamo visto per la grafite nel settore delle batterie, per le terre rare in quello dei magneti permanenti o del gallio e germanio per i semiconduttori non è che l’inizio della militarizzazione delle materie prime (La militarizzazione delle materie prime - Panorama).