Miles Davis, 25 anni senza - I 5 album più belli (e famosi)
David Redferns/ Getty Images
Musica

Miles Davis, 25 anni senza - I 5 album più belli (e famosi)

Il principe delle tenebre è stato un innovatore e un eccezionale scopritore di talenti

Davis è stato una figura chiave del jazz e della musica popolare del XX secolo

“Perché suonare tutte queste note quando possiamo suonare solo le migliori?”. Questa celebre frase di Miles Davis, scomparso a Santa Monica 25 anni fa,  il 28 settembre del 1991, sintetizza perfettamente la sua poetica, basata sull’inconfondibile suono languido e sull'emotività controllata della sua tromba piuttosto che sul virtuosismo fine a se stesso.

Nato ad Alton il 26 maggio 1926 da un'agiata famiglia afro-americana, dotato di uno stile inconfondibile e di un'incomparabile gamma espressiva, per trent'anni Miles Davis è stato una figura chiave del jazz e della musica popolare del XX secolo. Dopo aver preso parte alla rivoluzione bebop, il geniale trombettista è stato il precursore di numerosi stili, fra cui il cool jazz, l'hard bop, il modal jazz e il jazz elettrico. Le sue registrazioni, assieme agli spettacoli dal vivo dei numerosi gruppi guidati da lui stesso, furono fondamentali per lo sviluppo artistico del jazz.

L'opera di band leader di Davis è importante almeno quanto la musica che produsse in prima persona. I musicisti che lavorarono nelle sue formazioni, quando non toccarono l'apice della carriera al fianco di Miles, quasi sempre raggiunsero sotto la sua guida la piena maturità e trovarono l'ispirazione per proiettarsi verso nuovi e ambiziosi traguardi.

Dotato di una personalità umbratile e scontrosa, Davis era anche per questo chiamato "il principe delle tenebre", soprannome che alludeva anche alla qualità notturna di buona parte della sua musica.

A 25 anni dalla sua scomparsa, il geniale trombettista di Alton è sempre al centro della scena, come confermano il fortunato biopic Miles Ahead di Don Cheadle, l'edizione ampliata  e aggiornata dell'appassionata biografia Miles Davis. Il principe delle tenebre scritta da Gianfranco Nissola per Arcana Jazz e l'eccellente tributo realizzato da Robert Glasper nel sorprendente album Everything's beautiful, nel quale il talentuoso pianista americano reinterpreta in chiave moderna 11 brani di Davis con i featuring di Stevie Wonder, John Scofield, Erykah Badu e Laura Mvula.

Vediamo insieme i 5 album fondamentali della sua carriera, gioielli senza tempo che, dopo tanti anni, non smettono di brillare. [Cliccare su Avanti]

 

1) Kind of blue (1959)

Un album immancabile nella collezione di un vero appassionato di musica, in grado di mettere d'accordo sia il jazzista ortodosso che il rockettaro più impenitente. Kind of blue è passato alla storia per essere l'album della rivoluzione modale, liberando per la prima volta il jazz dalla gabbia armonica degli accordi e consentendo ai musicisti la massima libertà nell'improvvisazione attraverso l'uso di  scale modali piuttosto che a quelle relative ai singoli accordi. So What, Freddie freeloader, Blue in green, All blues e Flamenco sketches sono tutti diventati standard per la loro delicata bellezza notturna, quieta ed emozionante al tempo stesso.

2) Bitches brew (1970)

Bitches Brew è un album avveniristico e suggestivo che ha coniugato per la prima volta jazz e rock, dilatando spazio e tempo in sei brani che superano i 15 minuti, distribuiti su due vinili e, anni dopo, su due cd. Per tre giorni consecutivi i musicisti (gente del calibro di Chick Corea, Joe Zawinul, John McLaughlin e Dave Holland) furono lasciati liberi di suonare per tre ore di fila senza mai fermare il nastro Ampex che ha immortalato quelle leggendarie sessions. Una vera e propria orchestra, con due batterie, due percussioni, due sassofoni, tre pianoforti, due bassi e una chitarra, guidata dalla tromba magica di Davis.

3) Birth of the Cool (1957)

Il disco che ha dato il via al movimento del cool jazz, insignito nel 1982 del Grammy Hall of Fame Award, raccoglie le dodici tracce registrate nel 1949 e nel 1950 da una atipica formazione, il cosiddetto "nonetto", capitanata da Miles Davis e raccoltasi intorno all'arrangiatore canadese Gil Evans, della quale fecero parte anche Gerry Mulligan, John Lewis, Lee Konitz e Max Roach. L’idea di Evans era di superare i furori e le asprezze del be bop con una musica non urlata, utilizzando strumenti inusuali per il jazz come la tuba o il corno francese, agendo soprattutto sul registro medio degli strumenti.

4) Ascenseur pour l'échafaud (1958)

Ascensore per il Patibolo è la colonna sonora dell’eponimo film d'esordio di Louis Malle, Ascenseur pour l'échafaud, che grazie alla perfetta interazione tra le immagini e le algide atmosfere create dal trombettista di Alton, è considerato una pietra miliare della cinematografia. Malle traspose sul grande schermo un crudo romanzo noir di Noel Calef in cui il protagonista, dopo avere ucciso il suo datore di lavoro su istigazione della moglie di quest'ultimo, rimane bloccato in ascensore, impossibilitato ad allontanarsi dalla scena del delitto. Le musiche di Davis, taglienti come un rasoio e gelide come il vento d'inverno, sottolineano la fredda determinazione dei protagonisti della pellicola.

Tutu (1986)

Il titolo dell'album, vincitore di un Grammy Award nel 1987 come Best Improvised Jazz Solo, è un caloroso ed elettrizzante omaggio all'arcivescovo sudafricano Desmond Tutu. Il disco avrebbe dovuto essere realizzato insieme a Prince, ma le due eccentriche e forti personalità degli artisti fecero naufragare una collaborazione stellare. Tutu si avvale del fondamentale apporto di un allora giovanissimo Marcus Miller, che compose le canzoni, suonò quasi tutti gli strumenti, scrisse gli arrangiamenti e fece da produttore. La strumentazione di Tutu è quasi completamente elettronica, tranne Backyard Ritual, scritta, arrangiata, suonata e co-prodotta da George Duke. Full Nelson, un gioco di parole sul titolo dello standard Half Nelson, è un omaggio a Nelson Mandela, anche se alcuni sostengono che si riferisca a Roger Nelson, da tutti conosciuto come Prince.

I più letti

avatar-icon

Gabriele Antonucci