Mirko Sabatino, ‘L’estate muore giovane’ - La recensione
In un crescendo di infuocata tensione, una fiaba horror piena di tenerezza
Pubblicato alle soglie dell'inverno ma bello da leggere appollaiati su uno scoglio ad ascoltare la risacca, o magari sul covone dimenticato di un vecchio fienile, L’estate muore giovane di Mirko Sabatino è un esordio promettente come una scudisciata. Una storia di meschinità e sacrilegi, fanciullezze violate e adolescenze prematuramente interrotte, ambientata nel 1963 in un piccolo borgo costiero del Gargano, dove tre amici dodicenni custodiscono ciascuno un dolore segreto: i loro padri, per motivi diversi, li hanno lasciati soli in bilico sul mondo, eredi di responsabilità maiuscole. Ma una storia anche di fratellanza e ribellione, il suo lato più consolante.
Lo schianto della fanciullezza
L’incipit dei Fratelli Karamazov (“È proprio l’aria indifesa di queste creature a sedurre i carnefici”) introduce agli impulsi viscerali che fin dalla prima scena - un episodio di ordinario bullismo tra i vicoli di paese - modellano il substrato culturale, antropologico, psicologico, esistenziale del romanzo. Il male di una società basata su una concezione tribale delle relazioni fagocita l’età dell’innocenza con la sua legge spietata, fatta di protezione al prezzo della prevaricazione. Di ignoranza, vendetta, omertà. Eppure Primo, Damiano e Mimmo sanno istintivamente cos’è la tenerezza, sanno distinguere l’odio dall’amore, la rassegnazione dalla disperazione, la saggezza dalla follia, il richiamo della morte da quello della vita.
Non basterà. Troppo forte lo choc di dover crescere da soli senza preavviso, troppo crudele la scenografia di un dramma antico come la storia dell’uomo. Dov’era quel giorno Dio, ci si chiede, se perfino le mura di una sagrestia sono testimoni mute del culto della forza, dell’urgenza morbosa del sesso, del monopolio ancestrale della femmina da parte del maschio. L’estate muore giovane quando lo scatto ribelle dell’adolescenza, vinta la paura di dare addio all’infanzia, squarcia il silenzio scatenando un tragico, corale destino di morte.
Sabatino declina in una variante molto maschile un tema ricorrente nella narrativa italiana contemporanea: l’egoismo e la fugacità degli adulti hanno lasciato sul campo fanciulli costretti ad affrontare la vita senza punti di riferimento. Venuto meno il rapporto padre-figlio, crollato il riferimento principe da scardinare, in questo libro sono loro, non ancora adolescenti, a incarnare il lato protettivo, affidabile, responsabile della famiglia. Così si caricano in spalla i pensieri più paurosi, inventandosi un rito di passaggio per suggellare col sangue la loro amicizia. Un’alleanza sacra e insieme blasfema, per rompere il tabù.
Il patto della scogliera e altri oggetti transizionali
Primo si sente in colpa per non aver saputo proteggere la sorella dalla violazione della sua infanzia. E così Damiano, che l’amava come fosse una donna. Sabatino descrive con fine sensibilità la parabola di Viola, precipitata suo malgrado nell’andirivieni temporale “delle ragazze che non sono più bambine ma neanche donne”. La sua forma di controllo del dolore, dopo la morte del padre, era fin troppo matura: somministrarsene giorno dopo giorno una piccola porzione. Primo l’aveva capito, così aveva inventato per lei un posto dove potersi rifugiare nel guscio dell’immaginazione. Stesi sul letto, come si fa coi neonati le narrava storie inventate con protagonista supernostropadre, cantante dalla bellissima moglie che riceve la visita delle star dello spettacolo, con gli altri familiari a far da eccitati testimoni. È un binario laterale del romanzo, tenero, commovente.
Splendide ricostruzioni paesaggistiche contribuiscono alla presa emotiva della storia. Da una parte rovi, campi riarsi, muretti a secco, capannoni e diaboliche mietitrebbie, vicoli polverosi che sfociano sul sagrato della parrocchiale. Dall’altra lo spettacolo colossale del mare che gorgoglia sotto la rupe garganica, lontano eppure vicino come una promessa. Dentro questa natura invincibile, madre e matrigna, si consuma il dramma archetipico di chi assiste alla morte di Dio ma solo nella ricerca del sacro può placare la sua ansia. Se il ribelle finisce quasi sempre sconfitto, o riassorbito nella norma, a volte basta un piccolo gesto per cambiare il verso alla ripetizione: “un gesto irrazionale inquinato di umanità”.
Mirko Sabatino
L’estate muore giovane
Nottetempo
303 pp., 16 euro