Fuggire dalla realtà o affrontarla? Le scelte della moda a Parigi
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Fuggire dalla realtà o affrontarla? Le scelte della moda a Parigi

Tempi fragili richiedono grande forza. La Settimana della moda parigina si è conclusa ieri sull'eco del monito del presidente Ralph Toledano di agire «con sobrietà e riflettendo sui tempi oscuri». E la kermesse sembra essere riuscita nella difficile impresa di dimostrare come il comparto moda sia in grado di raccontarsi attraverso l’attualità quanto di creare un luogo d’evasione dove la bellezza può essere salvifica.

Si dividono in queste due categorie gli approcci dei creativi in scena a Parigi, chi vuole evadere e chi vuole affrontare le brutture della storia a testa alta. E badate bene, nessuno delle due scelte è giusta o sbagliata. Tempi fragili richiedono grande forza, e ognuno di noi ne attinge in modo diverso.

Dries Van Noten sceglie di ispirarsi al Paradiso Perduto di Marcello Mastroianni per la sua ultima collezione. Le stanze di una Maison de maître abbandonata ospitano capi per donna, uomo e i primi pezzi della nuova linea beauty e fragranze, sviluppata insieme a Puig. L’ultra femminile incontra la «durezza» del menswear in un gioco di proporzioni come nel cappotto cocooning, modellato da una sottile cintura cromata. L’eccesso di un singolo materiale, una stampa, un accessorio si combinano per creare una nuova pelle, mentre le forme rimandano alla couture e ai volumi architettonici.

Tra i piccoli decori che arricchiscono ogni capo - in un eccesso di opulenza - troviamo anche delle delicate farfalle, trasformate in spille e collane. In una brillante e incantevole evasione.

Jonathan Anderson, direttore creativo di Loewe, addirittura si pone in una posizione di totale rifiuto del mondo, dando vita e un evocativo Big Bang che inizia con le origini dell’umanità per arrivare fino alla rivoluzione industriale.

Spinto dall’irrazionale, Anderson porta in scena abiti sagomati in pelle, bustini sagomati in feltro, abiti drappeggiati con corazze a forma di labbra o reggiseni a palloncino. Una diapositiva di un istante che sta per infrangersi contro la realtà. «Un palloncino crea tensione. Scapperà. Non durerà per sempre» ha raccontato lo stilista. Non bisogna lasciarsi ingannare, dietro la follia di Loewe si nasconde del metodo e ogni capo ha un rimando all’arte, da Réne Magritte a Meret Oppenheimer.

Parla addirittura di «Planet Schiaparelli» Daniel Roseberry, che da tre anni riveste il ruolo di direttore creativo della Maison. «Se la couture è creatività espressa come arte, allora questa collezione prêt-à-porter è quell'arte applicata» ha raccontato lo stilista durante la presentazione della sua ultima collezione.

I capi ricchi di ricami e silhouette uniche sono una gioiosa celebrazione dell’eterna musa Elsa. Il bianco osso, il nero e l'oro Schiaparelli sono le tinte scelte per rappresentare queste nuove creazioni caratterizzate da una perfezione che può nascere solo dall’assoluto rigore ma che Roseberry si augura permetta alle sue donne di «governare il mondo, sì, ma anche di innamorarsi».

Louis Vuitton, sotto la guida di Nicolas Ghesquière, dedica la sua collezione autunno-inverno alla gioventù «sperando che possa mantenere come un vestito perfetto la poesia irrisolta dell’adolescenza». La sfilata aperta dalla coreana Jung Ho-yeon (vincitrice ai SAG Awards per il suo ruolo in Squid Game) è «un'escursione in un momento percettibile, fugace e decisivo in cui tutto viene alla ribalta, in tutta la sua innocenza e intuizione». Abiti da sera si abbinano a magliette sportive che paiono rubate dal fidanzatino del liceo, mentre felpe e maglioni sottolineano la vita. Ghesquière gioca con una nuova sartorialità androgina utilizzando forme oversize e accessoriando le sue modelle con cravatte dalle stampe floreali. Quella di Vuitton è una nostalgia che non risulta stucchevole, ma piuttosto un tentativo di riprendersi un certo tipo di libertà, «senza direttiva o impedimento».

Ece Ege, fondatrice del marchio prêt-à-porter Dice Kayek, presenta poi la sua ultima collezione attraverso un film dove ogni capo può essere usato per vestirsi o travestirsi. Per Ege l’utilizzo di cristalli e paillettes è l’antidoto ai tempi bui di oggi. Una semplice felpa viene così elevata attraverso l’uso di taffetà di seta, frange o paillettes. Il classico “little black dress” è arricchito da fiocchi mentre la giacca antipioggia si abbellisce di ricami a mano per «danzare sotto la pioggia ed essere comunque protetto».

Particolarmente evocativo il momento nel film in cui un modello si getta nell’oscurità per far entrare (finalmente) nella luce.

Sono invece legati «da un profondo senso della realtà» la donna e l’uomo Givenchy presentati dallo stilista Matthew M. Williams. Tra il verde scuro e il nero, la collezione autunno-inverno della Maison dà vita a un guardaroba incentrato principalmente sullo streetwear, tra magliette e felpe grafiche - spesso realizzate con stampa 4D - indossate strato su strato. «Sono interessato a creare abiti che le persone indossano, quindi il mio lavoro è stato trovare gli archetipi per oggi».

I modelli di Givenchy hanno sfilato tra un gioco di luci LED sulle note di una colonna sonora palpitante, espressione del nostro tempo.

È Demna, nella sua ultima collezione per Balenciaga, a portarci davvero con i piedi per terra. Se quelli di Dice Kayek e Givenchy sono stati semplici accenni alla situazione attuale, il creativo - che per primo è dovuto fuggire dal suo Paese 12 anni fa a causa della guerra - ci mette faccia a faccia con il dramma del conflitto. «Personalmente, ho sacrificato troppo alla guerra. La scorsa settimana sta riportando alla mente tutti i ricordi che io e mia madre abbiamo riposto in una scatola e non abbiamo mai guardato. Non l'abbiamo mai superato» ha raccontato Demna a Vogue.

Il suo è un inno alla resistenza. Magliette con la bandiera ucraina decoravano ogni sedia prima della sfilata, accompagnate da una dichiarazione dello stilista che terminava con una semplice frase: «L’amore deve vincere».

Ambientata in una rotonda di vetro come simulazione di un gigantesco globo di neve, la produzione era stata pianificata come uno dei confronti meta-immersivi di Demna con il cambiamento climatico, ma con l’inizio della guerra ha assunto un significato completamente diverso. I modelli si trovano ad affrontare impotenti gli elementi, mentre tentano di fuggire con i loro pochi averi. C’è chi ha parlato di «eleganza stoica», guardando abiti neri asimmetrici che svolazzano voluminosamente nel vento artico; ibridi oversize di felpa con cappuccio e capispalla imbottiti; giacche di finta pelle e tote bag abbinate a stivali.

Una sfilata destinata a rimanere nel cuore e nella mente di molti, ma che solleva anche una domanda: quanto costano davvero questi straordinari spettacoli, destinati a una cerchia sempre più ristretta di invitati? Mentre su Instagram, i brand parlano delle loro donazioni a sostegno dell’Ucraina viene da pensare in maniera più critica a questa macchina milionaria.

Dries Van Noten

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Mariella Baroli