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Gaetano Curreri: "Viviamo nella paura di noi stessi"

È in radio "Tutti contro tutti", il nuovo singolo degli Stadio - Intervista

L’ultima edizione di Sanremo è stata per gli Stadio una vera e propria consacrazione. Il tutto grazie al loro brano Un giorno mi dirai, prezioso inno all’amore, e ad una carriera che ha segnato - anno dopo anno - la storia del nostro Paese. In 38 anni di carriera, infatti, la band di Gaetano Curreri ha saputo reinventarsi, ha saputo fare della propria storia un’occasione di crescita personale e artistica.

A qualche mese dalla vittoria al Festival della Canzone Italiana, gli Stadio sono tornati con un nuovo singolo, Tutti contro tutti (tratto dall'ultimo disco "Miss Nostalgia"), che - a dir la verità - ha ben poco in comune con il brano dolce e quasi sospirato di Sanremo. “È una canzone dura e di estrema attualità, purtroppo”, ci ha raccontato Gaetano Curreri.

Da cosa avete preso ispirazione per scrivere questo brano? È un ritratto del mondo in cui viviamo?

Sì, purtroppo lo è. Guardiamoci intorno: stiamo tornando a cose orribili, a tempi duri. Pensiamo solamente a cosa sta accadendo negli Stati Uniti in queste ultime settimane. Solo a sentir nominare il nome della città di Dallas, per esempio, viene paura. Tutti contro tutti ha frasi molto forti. E Vasco Rossi, quando l’ha sentita, ha voluto partecipare, cantandone una parte.

Cosa non funziona nella società di oggi?

È un mondo, per esempio, che non riconosce la meritocrazia; che fa andare avanti “il figlio di” e non chi lo meriterebbe davvero. Ma ci sono tante cose tremende come questa. In generale posso dire che viviamo nella paura. Innanzitutto di noi stessi. Arriveremo a litigare con noi stessi; e forse, in parte, già lo stiamo facendo. Ci vorrebbe una rivoluzione (intesa come il tornare a vivere da uomini e non da uomini impauriti) e una buona educazione. Anche quest’ultimo elemento è importante.

C’è una colpa in tutto questo? A cosa dobbiamo questa situazione?

Come diceva un cardinale, siamo tutti troppo sazi di cose inutili. Non ci nutriamo più delle cose essenziali. Ci nutriamo solo di cazzate e di paure. Tutti abbiamo paura di tutto. Accendi la televisione e spesso vedi gente che ti invita a farlo. Forse abbiamo gestito male la globalizzazione, concentrandoci sul consumo e non sul pensiero.


Quale rapporto la lega a Vasco Rossi?

Tra di noi c'è un rapporto fraterno. Lui è veramente il fratello che avrei sempre voluto avere, da piccolo. Da quando l’ho conosciuto, non l’ho più mollato. Per me è una certezza, un’ancora di salvezza, un confidente, un uomo con il quale posso parlare di tutto. So di avere una grande fortuna in questo.

E tutto questo bene che vive in prima persona lei lo racconta nelle sue canzoni…

Sì, io sposo il pensiero di Roberto Roversi. Una canzone non cambierà il mondo, ma lo potrebbe migliorare. È diventata la mia filosofia. È una cosa che ho cercato di portare avanti, sempre. Una canzone non deve essere solo leggera. O meglio, va bene se lo è, ma deve avere un peso specifico importante. Oggi ci si accontenta facilmente…

A proposito di questo, come vede il mondo della musica di oggi? Spesso si ha l’impressione che tanti movimenti di pensiero si siano persi. Forse si preferisce fare qualcosa che piaccia e basta. No?

Io vedo che c’è buona volontà. Ma tante volte non c’è una struttura di pensiero. Ci sono tanti autori che si accontentano di scrivere una canzone, non pensando che magari dentro ad essa ci sono tantissime possibilità di arrivare alle persone. Una canzone va maneggiata con cura, perché è ricca, ha tante sfumature.

Forse è anche per questo motivo che Un giorno mi dirai è arrivata così tanto al pubblico…

Sì, credo proprio di sì. La riflessione che è compresa nel brano è una domanda che tutti i padri, almeno una volta nella loro vita, si sono chiesti. Credo che sia scattato qualcosa nella testa di tante persone. È semplicemente un momento in cui, attraverso l’ascolto (e per noi la scrittura e l’esecuzione) di una canzone, rivivi delle scelte che hai fatto.

E così siete arrivati addirittura alla vittoria…

Abbiamo cantato la canzone giusta nel momento giusto. Ci sono cose che vanno salvaguardate e la famiglia è una di queste. Sia chiaro, intendo la famiglia in quanto unione di due persone che si amano. Non mi importa che sia tra uomo e donna, tra uomo e uomo o tra donna e donna. Intendo la famiglia come nucleo di due persone che decidono di condividere la vita.

Vi piacerebbe tornare a Sanremo?

Quest’anno direi proprio di no. Magari ci torneremo nel 2018, per festeggiare i 40 anni di carriera. Nel 1978 non ci chiamavamo ancora Stadio, ma il gruppo si è formato in quell’anno. Sarebbe bello festeggiare a Sanremo. Perchè no?

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Giovanni Ferrari