È il narcisismo (maschile, ma non solo) il grosso nemico delle donne
Le statistiche e la cronaca ci racconta cosa si nasconda sempre più spesso dietro gli episodi di violenza contro le donne
L’ultima statistica ISTAT relativa agli omicidi di donne è del 2021. La rilevazione appare a mio parere interessante in quanto conseguente alla pandemia, periodo che ha esposto ad una convivenza forzata con l’inasprimento delle dinamiche disfunzionali interne ai nuclei familiari. Di particolare interesse è il fatto che, le rilevazioni, concernono il periodo a partire dal 2019, racchiudendo quindi il pre e il post pandemia. Dall’analisi dei dati emergerebbe un trend di diminuzione dei casi, seguito da un piccolo incremento conseguente, con grande probabilità all’esacerbarsi delle situazioni di criticità in epoca pandemica. Tali dati porterebbero quindi a pensare a come sia in atto un cambiamento culturale predisponente alla possibilità di fare rete.
Il 2020, anno in cui è scoppiata l’emergenza COVID-19, ha visto un incremento delle denunce di violenza domestica in tutto il mondo. Il fenomeno ha raggiunto dimensioni tali che l’agenzia delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere ha parlato di “shadow pandemic” (pandemia ombra) per definire l’intensificarsi, in quel determinato periodo, di abusi fisici o psicologici sulle donne a opera di partner, ex, parenti o conoscenti
È importante però comprendere le dinamiche che si instaurano tra vittima e carnefice, al fine di consentire di superare alcuni stereotipi che vanno ad inibire l’intervento di aiuto e supporto nei confronti delle vittime. Chi è reduce da una relazione con un narcisista subisce un trauma da narcisismo i cui sintomi sono la dipendenza affettiva, l’impotenza psicologica, il senso di inutilità, il crollo dell’autostima, Tali elementi sono quelli che consentono di avere un potere tale sulla vittima da indurla a tornare dal proprio carnefice A tal proposito si indica come sia difficile che la vittima, riesca a liberarsi in maniera definitiva da tale dipendenza, Questo elemento è essenziale da considerare in quanto consente di superare in maniera definitiva lo stereotipo “è tornata con lui, significa che le va bene”. Il narcisista patologico attecchisce psicologicamente nella vittima quando questa ha una ferita narcisistica di cui non era a conoscenza; con questa si intende una grave mancanza di amore verso sé stessi che si prova a colmare ricreando una relazione affettiva che perpetua quelle ferite emotive che non sono mai state curate. All’atto pratico i narcisisti patologici creano un trauma in chi sta loro vicino attraverso atteggiamenti manipolatori, ricatti e ingenerando sensi di colpa. Il risultato del trauma da narcisismo è una condizione definita “dipendenza affettiva” che si caratterizza per l’incapacità di fare a meno di chi procura il dolore emotivo.
In termini di intervento ritengo essenziale agire nei contesti educativi sin dalla primissima infanzia. Si consideri infatti come il sessismo sia legato alle convinzioni relative alla natura fondamentale delle donne e degli uomini e ai ruoli che dovrebbero svolgere all’interno della società. Le supposizioni sessiste su donne e uomini, che si manifestano come stereotipi di genere, possono classificare un genere come superiore rispetto a un altro. Tale pensiero gerarchico può essere consapevole e ostile, oppure può essere inconsapevole, manifestandosi sotto forma di pregiudizi inconsci. Il sessismo può riguardare chiunque, ma sono le donne a esserne particolarmente colpite.
Cognitivamente tendiamo a creare previsioni su quello che faranno le persone sulla base di ciò che abbiamo incontrato nel mondo. Queste previsioni possono basarsi sull’esperienza diretta, così come sulle rappresentazioni nella società e nella cultura. Le nostre menti funzionano come “elaboratori di testi predittivi” al fine di creare stereotipi.
Si consideri inoltre che l’identità di genere (essere maschio, essere femmina) si struttura sempre all’interno di una relazione. Le questioni di genere non riguardano quindi le donne, ma la relazione tra uomini e donne. Il difficile equilibrio che si dovrebbe raggiungere è proprio quello di tenere insieme uguaglianze e differenze perché nessuna delle due da sola è sufficiente. La pedagogia dell’uguaglianza, cioè del garantire a tutti pari diritti perché a tutti sono offerte pari opportunità, è una pedagogia che schiaccia la riflessione sulla dimensione del diritto che per essere uguale per tutti deve essere diverso per ciascuno. Offrire ai bambini e alle bambine nel momento dello sviluppo dell’identità personale dei modelli di persona il più possibile consapevoli e liberi da condizionamenti culturali permette loro di poter diventare maschi e femmine senza per questo dover rinunciare all’affettività (se maschi) o alla fisicità (se femmine): imprescindibile base per la creazione di una società più rispettosa, giusta ed equa.
Gli schemi cognitivi di riconoscimento e interpretazione delle differenze di genere traggono le loro origini in modelli culturali appresi nell’ambito dei contesti sociali di sviluppo, familiari ed educativi. Protagonisti centrali dell’acquisizione di questi modelli di conoscenza sociale sono quindi le persone in età evolutiva. I ruoli sociali ed i modelli ad essi collegati sono una costruzione sociale, che cambiano in base alla cultura di appartenenza, ma anche in base all’epoca storica di riferimento. Il rendere consapevoli di tale processo consente di far emergere differenze di genere che creano disuguaglianza, contribuendo allo sviluppo di relazioni più ugualitarie tra uomini e donne. È necessario quindi sviluppare un senso critico rispetto ai condizionamenti sociali affinché i bambini e i genitori, e gli educatori in generale, possano esprimere sé stessi, la propria individualità, riconoscendo i modelli preconfezionati. Per la eliminazione degli stereotipi di genere è quindi necessario che l’intervento incominci proprio dai luoghi dove la relazione fra generazioni (bambini e adulti) e fra le istituzioni (scuola e famiglie) è più stretta.