11 settembre 2001: la causa dei familiari delle vittime contro l'Arabia saudita
800 famiglie chiamano in causa Riad per aver sostenuto e protetto gli attentatori dell'11/9: quali sono le ragioni
Le famiglie di 800 vittime degli attacchi alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001 hanno fatto causa, presso un tribunale di Manhattan, all'Arabia Saudita accusandola di complicità negli attentati che hanno causato circa 3.000 morti. In particolare, l'accusa rivolta ai funzionari sauditi è quella di aver aiutato i dirottatori Salem al-Hazmi e Khalid Al-Mihdhar, 18 mesi prima dell'attacco, a trovare appartamenti, imparare l'inglese e ottenere carte di credito e contanti. 15 dei 19 attentatori, coinvolti nell'attacco, erano di nazionalità saudita. La causa consta di 28 pagine ed è fondata in gran parte sui documenti secretati recentemente resi noti negli Stati Uniti.
La tesi è che la famiglia reale saudita, nel timore che Al Qaeda potesse sottrargli il potere, abbia finanziato per anni i terroristi attraverso una serie di associazioni di carità islamiche, come la al Haramain Islamic Foundation, una delle storiche fondazioni che collaboravano con Osama Bin Laden a partire dalle metà degli anni 80, quando era in corso la guerra in Afghanistan. Dirigenti di primo piano della famiglia reale, seconda la causa intentata a New York, avrebbero per anni finanziato la jihad afghano-pakistana e i campi di Al Qaeda capaggiati da Bin Laden, anche lui di nazionalità saudita. La causa cita anche, a supporto, l'attentato del 26 febbraio 1993 al World Trade Center, sostenendo che il governo saudita fosse informato dei piani degli attentatori.
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Storico alleato degli americani in Medioriente, il regno petrolifero dei Saud ha sempre cercato, secondo un articolo apparso sul New York Times che nel settembre 2016 diede per primo la notizia della causa, di tenere lontana l'Arabia saudita dal banco degli imputati, pagando anche milioni di dollari ai lobbisti presenti nel parlamento americano. La questione è anche geopolitica, essendo i funzionari sauditi protetti dall'immunità diplomatica.
Per ora l'ambasciata saudita a Washington non ha fornito dichiarazioni, ma sono possibili ritorsioni al momento non prevedibili. Prima che si insediasse Donald Trump, Obama aveva sempre posto il veto alla desecretazione dei documenti resi pubblici a ottobre perché - ha sostenuto - avrebbe potuto esporre i cittadini americani nel mondo a ritorsioni legali da parte del governo saudita.
Anche George Bush aveva sempre posto il veto alla pubblicizzazione dei documenti in nome della sicurezza nazionale e, anche, delle alleanze internazionali. Le famiglie delle vittime, scrive il NYT, hanno fatto con la causa ai sauditi quello che le due amministrazioni precedenti, in nome della real politik, hanno sempre voluto evitare. "Non possiamo abandonare i principi della giustizia americani in nome dei nostri obiettivi geopolitici e diplomatici" è scritto nella causa.