11 settembre, l'anniversario, il museo del silenzio
A 13 anni dall'attentato alle Torri Gemelle i ricordi di chi ha visitato il museo dedicato alla strage aperto da pochi mesi a Ground Zero - Foto
Non ride nessuno. La prima cosa che noti quando arrivi a Ground Zero, oggi, come ormai accade da 13 anni è che non ride nessuno.
Che siano turisti venuti da ogni parte del mondo o cittadini americani, come ci si avvicina alle due fontane ed alla sede del museo dell'attentato dell'11 settembre (o 9/11, nine-eleven come dicono) scende il silenzio (interrotto solo dai lavori di costruzione delle due nuove torri gemelle). E' come se si entrasse in chiesa, durante una cerimonia, anzi, un funerale.
Scolaresche, famiglie, per prima cosa si stringono lungo il perimetro di queste enormi vasche, scavate proprio dove si trovavano la Torre Nord e la Torre Sud. Ma lo sguardo verso l'acqua dura poco, perché prima o poi gli occhi finiscono sulla lista di nomi e cognomi delle vittime che circondano come una balaustra i due quadrati. Uomini, donne, bambini, gente che stava lavorando, dal grande dirigente all'ultimo degli operai. Uniti dalla morte, bersagli di un'unica follia.
Si prosegue e si arriva al museo (che prima bisogna prenotare. Se pensate di arrivare ed entrare vi sbagliate e di grosso).
La struttura è moderna, ampie pareti di vetro stretti tra ferro ed alluminio. Ma la luce dura poco. Perché si scende, in basso, nelle fondamenta. Ed arriva il buio.
"No day shall erase you from the memory of time" (Virgilio: Nessun giorno vi cancellerà dalla memoria del tempo). La scritta riempie la prima parete che vedi dalla grande balconata. Poi si scende, si scende ancora.
Ci si trova sotto, dove stavano le fondamenta che non hanno retto allo schianto degli aerei, al calore delle fiamme. Non c'è un percorso unico, consigliato. Ognuno va per la propria strada, e nemmeno l'audioguida alla fine serve più. Ti guida lo sguardo, l'occhio, il pensiero. C' è la bandiera a stelle e strisce che capeggiava sulla torre, c'è quello che resta del primo mezzo dei Vigili del Fuoco arrivato sul posto pochi secondi dopo il primo attentato. La parte anteriore non ha molti danni, il retro è distrutto. Nessuno di quelli che erano a bordo si sono salvati.
Ci si ferma spesso, non per la stanchezza, ma a pensare. Ovunque trovi schermi dove scorrono uno ad uno le foto delle 2752 persone che sono morte quel mattino. Per loro c'è poi una specie di sala, un cubo, alto; alle pareti i sorrisi, quelle foto tipiche che gli americani si fanno al college o al lavoro. Molti in divisa. Una voce racconta chi erano.
Si prosegue. Non puoi non fermarti davanti a quello che resta dell'ultimo blocco di ferro delle fondamenta, l'ultimo pezzo che è stato spostato da Ground zero con una cerimonia degna del funerale di un presidente.
Una porta a vetri ti porta in quello che è il museo vero e proprio. Ci sono tutti i ricordi di quel giorno. Cominci con le immagini della mattina, soleggiata. Poi le prime interruzioni dei telegiornali locali: "Esplosione a Manhattan". Poi il secondo aereo e l'inizio dell'incubo: "Gli Stati Uniti, New York sono sotto attacco"
Dei grafici raccontano i percorsi degli aerei dirottati, minuto per minuto. E da quei velivoli le ultime telefonate. Identiche a quelle lasciate sulle segreterie telefoniche da decine di persone intrappolate nei due grattacieli sopra le fiamme. Racconti diversi con un unico finale: "I love you".
C'è poi un angolo buio, scavato apposta in modo da essere ancora più cupo degli altri e forse più introvabile. Al suo interno sul muro vengono mostrate le immagini di chi, in preda al panico si è gettato nel vuoto. Due secondi mi sono bastati. Chi guarda piange.
Il museo è quasi finito ma, un po' a sorpresa ecco la parte dedicata ai terroristi, i kamikaze autori del più grande attacco terroristico della storia. Ci sono i loro volti, le immagini prese negli aeroporti quel mattino; persone che sembravano integrate nella "land of the free" e che invece stavano solo preparandosi a morire e ad uccidere.
Si sale e si esce. Torna la luce e si rivede il sole. I vetri della prima delle due Torri Gemelle già completata riempiono il cielo. Gli americani non dimenticano (#neverforget) ma poi si rialzano.