Questo non è più il Renzi delle primarie
La posizione sul caso Ablyazov è l'ennesima tappa di un percorso per cui il sindaco di Firenze rischia di perdere il consenso (anche extra Pd) di un tempo
Confesso che non mi piace questa insistenza di Renzi sul dramma di una donna e della sua bambina di 6 anni. Non mi piace perché si porta dietro una coda troppo forte e marcata di ambizione personale e gioco politico. Certo non mi piace neppure, anzi soprattutto, che una bambina di 6 anni, Alua, sia stata trascinata in un aeroporto e caricata insieme alla madre su un jet verso il Kazakistan, suo paese d’origine, solo per diventare ostaggio del regime contro suo padre esule e oppositore. Ma non mi piace, no, che Renzi ne faccia una crociata per scardinare il governo Letta e sfasciare il suo partito.
No, grazie, non è questo il Matteo Renzi che ai tempi delle primarie per la premiership del centrosinistra s’era presentato agli italiani (tutti gli italiani) come l’uomo capace di andare oltre le contrapposizioni della prima e della seconda (fallimentare) Repubblica, capace di parlare agli elettori del Pd e a quelli di Berlusconi. Renzi reclamava allora una cosa ragionevole: che dovendo scegliere il candidato premier, dovesse esservi un’apertura dei seggi per saggiare la capacità dei candidati di generare consenso in campo avverso. Ergo, liste aperte a chiunque si fosse registrato per tempo sul sito delle primarie del centrosinistra. Renzi si destreggiava, strizzava l’occhio ai riformisti e ai giovani del Pd, ma anche a un centrodestra moderato che sarebbe stato simpatizzante della sinistra il tempo necessario per dare al sindaco di Firenze una spinta verso Palazzo Chigi.
Renzi somigliava a Berlusconi, in qualche caso ne sposava il programma. E tuttavia continuava a dichiararsi del Pd. Ma moderato, aperto, liberale. E giovane. Dopo il voto e dopo la rocambolesca formazione di un governo non più guidato dal rottamando Bersani ma da un altro “giovane”, Enrico Letta, Renzi si dev’esser sentito perso, disinnescato, rinviato. Forse, quasi, rottamato. A differenza sua, Letta ha alle spalle competenza ed esperienza: un’attitudine e una consuetudine col governo.
Ma la cosa che davvero non mi è piaciuta è il trasformismo di Renzi, il suo passare da ricette economiche liberali a una politica di sinistra, il suo fare il salto dal moderatismo di facciata a uno sfascismo anch’esso di facciata che lo accomuna a tutti i ribelli anti-Letta: da Vendola a Grillo, da Civati alla Puppato a Maroni. E poi, vogliamo dirla tutta? Sulle regole delle primarie, dalla ragione è passato al torto. Che logica è quella di non essere del Pd e poter ugualmente votare per la segreteria del Pd? Dove al mondo si può votare alle primarie per la guida di un partito che non sia il proprio?
Ecco, questa demagogia incoerente di Renzi, e il cattivo gusto di utilizzare la vicenda umana di una bambina di 6 anni per la propria battaglia politica (non una strategia economia, una visione di politica estera, un progetto di riforma del paese), costituiscono una spiacevole sorpresa per chi vedeva in lui una speranza. Il rischio, per Renzi, è che dilapidi il consenso che aveva conquistato fuori dei confini del Pd, senza riuscire a sfondare all’interno del suo stesso partito.
La politica è intrisa di demagogia, sempre. Ma peggio della demagogia, per un politico, è l’incoerenza. Non è più tempo di elettori con l’anello al naso, di demagoghi capaci di dire e sostenere indifferentemente tutto e il contrario di tutto solo per opportunismo politico personale.