Dopo Abu Mazen: il futuro per l'ANP e i palestinesi
Il leader dell'Autorità Nazionale Palestinese è ancora ricoverato. Quali conseguenze negli equilibri con Hamas e Israele
Il nuovo ricovero di Abu Mazen(il terzo in una settimana) mette in allarme non solo l'Autorità Nazionale Palestinese, ma l'intera area mediorientale. Alla guida dell'ANP dal 2005, da tempo si pensa alla sua successione, che potrebbe cambiare gli equilibri all'interno della comunità palestinese e con Israele, in un momento particolarmente delicato, dopo l'uscita degli Usa dall'accordo sul nucleare iraniano e con il trasferimento dell'ambasciata americana a Gerusalemme.
Le violente proteste che ne sono seguite, infatti, sono state alimentate soprattutto da Hamas, che ora mirerebbe a diventare guida del popolo palestinese, seguendo una linea di maggiore fermezza (e scontro) con Tel Aviv rispetto a quella mantenuta finora da Mahmud Abbas, nome arabo di Abu Mazen, che è espressione del più moderato partito palestinese di Fatah.
Intanto si fanno sempre più insistenti i nomi del probabile successore del leader quasi 83enne.
Le preoccupazioni per le condizioni di salute di Abu Mazen circolano da tempo, ma nelle ultime settimane sono aumentate. In soli 7 giorni il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese è stato ricoverato ben tre volte. A causare l'ultimo ricorso alle cure mediche in ospedale sarebbero state le complicazioni dovute a un intervento all'orecchio, ma il condizionale è d'obbligo perché le notizie sono contrastanti. Secondo il portavoce dell'ospedale di Istichari, vicino Ramallah (sede del quartier generale dell'ANP), il leader palestinese sta bene.
Ma la nuova ospedalizzazione ha riaperto il dibattito sulla sua successione, già avviato a febbraio scorso, quando Abu Mazen era stato sottoposto a esami medici in una clinica di Boston, in occasione di una viaggio ufficiale negli Stati Uniti. All'epoca qualcuno aveva ipotizzato che l'uomo-guida dell'Autorità - accanito fumatore - fosse malato di tumore ai polmoni.
In ogni caso da mesi si parla del suo "erede", la cui individuazione ora sembrerebbe più urgente.
I possibili successori
Il nome più accreditato per la successione ad Abu Mazen è quello di Mohammed Dahlan, 57 anni, figura di spicco di Fatah, il movimento nazionalista palestinese fondato da Yasser Arafat (predecessore di Abu Mazen) e del quale lo stesso presidente dell'ANP è ora a capo. Molto attivo nella lotta nella Striscia di Gaza, aveva conquistato la fiducia della popolazione contrapponendosi ad Hamas, che di fatto controlla i Territori e mira alla leadership assoluta del mondo palestinese.
Dahlan, che era considerato uomo forte di Arafat a Gaza, è anche "sposorizzato" dagli Emirati Arabi Uniti ed è ritenuto vicino al presidente egiziano al-Sisi, impegnato da mesi nel tentativo di ricompattare le varie anime palestinesi. Lo scorso ottobre sembrava persino che Hamas e Fatah potessero convergere proprio sul nome di Dahlan come nuova guida unificata del mondo palestinese, dopo che lo stesso Dahlan aveva incontrato (al Cairo, appunto) il leader del movimento politico di ispirazione religiosa.
Un altro nome molto gettonato è quello di Nasser al-Qudwa, 55 anni, ex ambasciatore palestinese all'Onu e nipote dell'ex Presidente dell'OLP, Yasser Arafat. Già al lavoro nei servizi segreti palestinesi, di al-Qudwa convincono soprattutto le capacità diplomatiche e comunicative sviluppate negli anni al Palazzo di Vetro. Vanta anche ottimi rapporti con la Lega Araba ed è responsabile della comunicazione all'interno di Fatah. A suo favore si sarebbe espresso Marwan Barghouti, segretario generale di Fatah in Cisgiordania, leader della Seconda intifada e oggi in carcere. Nonostante sconti una condanna a 5 ergastoli, esercita una forte influenza sui 6.500 detenuti palestinesi in Israele.
Il consenso "trasversale" (dei moderati e non come Barghouti) fa sì che al-Qudwa si presenti come una figura "terza", con capacità di mediazione tra le due anime palestinesi di Hamas e di Fatah. Il nipote di Arafat sosterrebbe l'ipotesi di una guerra "diplomatica" di resistenza (non più armata) con Tel Aviv, interrompendo le relazioni ufficiali, non riconoscendo lo status quo e soprattutto facendo leva sulla comunità internazionale perché vengano riconosciuti i diritti della Palestina come Stato autonomo, con capitale Gerusalemme.
Di recente Hamas avrebbe pensato di puntare su Khaled Meshaal, 62 anni, ex capo dell'Ufficio politico di Hamas oggi in esilio a Doha, in Qatar, Stato considerato "amico" di Hamas. Meshaal vanta un passato di "falco", un sostenitore dellalinea più intransigente contro Fatah e ha guidato la propria battaglia godendo del sostegno siriano. Oggi sembra aver parzialmente invertito la rotta, aprendo alla possibilità di una collaborazione all'interno dell'ANP con Fatah e caldeggiando forme di lotta disarmata nei Territori occupati.
Anche con Israele sembra possa essere disposto a negoziare, in coordinamento con l'Egitto di al-Sisi e forse anche con la Tunisia. Il suo obiettivo sarebbe quello di riunificare i palestinesi, per dare nuova forza "contrattuale" e diplomatica nei rapporti con Tel Aviv.
Hamas-Fatah: quale futuro
Intanto si consuma lo scontro tra Hamas e Fatah, che ha raggiunto il culmine a marzo con un attentato ai danni di Abu Mazen stesso, uscitone illeso, firmato dal movimento che controlla i Territori. Hamas ha visto crescere la propria influenza e il proprio peso politico nel corso degli ultimi anni, arrivando a governare la Striscia di Gaza. Ma le manca ancora il riconoscimento della comunità internazionale, di cui invece gode l'ANP e al quale aspira.
Fondata ufficialmente ai tempi della "Prima Intifada" del 1987 dallo sceicco Ahmed Yassin, rimasto vittima di un raid israeliano nel 2004, nel 2006 ha vinto le elezioni legislative palestinesi nella Striscia di Gaza. Ismail Haniyeh, membro di Hamas, avrebbe dovuto governare come primo ministro dell'ANP, ma Fatah siè opposta ostacolando la formazione e l'esercizio del governo targato Hamas. Ne è seguita una vera guerra civile di Gaza del 2007, culminata con l'espulsione di rappresentanti di Fatah dalla Striscia.
Oggi la Palestina è divisa in due e la successione ad Abu Mazen potrebbe riaprire antiche ferite. Fatah governa la Cisgiordania, Hamas ha il controllo della Striscia di Gaza. La mancanza di riconoscimento internazionale e il progressivo isolamento, però, hanno portato da un anno a questa parte Hamas a riavvicinarsi, almeno formalmente, a Fatah. Il vero obiettivo, però, sarebbe quello di guidare l'ANP.
Scontro tra estremisti e "moderati"
A dividere Hamas da Fatah è anche l'impronta religiosa. Il "padre" di Hamas, Yassin, era anche fondatore della prima sezione palestinese dei Fratelli Musulmani. Oggi, nella Striscia di Gaza, vigono ferree regole religiose: ed esempio, è vietato il consumo di alcolici, le donne vestono seguendo severi canoni di abbigliamento e non possono girare da sole, ma devono essere accompagnate dal marito o da un parente stretto di sesso maschile.
D'altro canto, però, Hamas gode della fiducia e dell'appoggio della popolazione grazie a una lungimirante politica di welfare. Ha offerto servizi fondamentali come ospedali, scuole, moschee e aiuti economici alle famiglie senza lavoro (il 40%) o che hanno perso la casa in seguito a bombardamenti israeliani.
La popolarità di Hamas è cresciuta col tempo anche in Cisgiordania, dove invece governa Fatah, molto più moderato. A quest'ultimo non viene perdonata una linea ritenuta troppo "morbida" nei rapporti con Israele, di cui invece Hamas vuole la cancellazione. Nel proprio statuto, nato con la "Prima Intifada", è contenuto l'obiettivo di conquistare la Palestina intera e distruggere Israele. Questo ha fatto sì che il movimento trovasse un naturale alleato nell'Iran.
I nuovi assetti tra Palestina, Israele, Iran ed Egitto
La successione di Abu Mazen avrà inevitabilmente anche conseguenze nei rapporti con Teheran, soprattutto nelle modalità di lotta contro il governo di Tel Aviv. Hamas, infatti, è il principale responsabile degli attentati contro Israele. Grazie al suo braccio armato - le brigate al-Qassam - conduce una vera e propria azione continua di guerriglia, più o meno apertamente supportata dall'Iran.
Ora che la Repubblica Islamica si prepara a dover affrontare nuove pesanti sanzioni dagli Stati Uniti, usciti dall'accordo sul nucleare, potrebbero esserci conseguenze negative anche per Hamas. Il movimento non può più neppure contare sulla Siria, dove la guerra ha costretto a reso più complicata la situazione. Ad esempio, molti leader di Hamas che risiedevano a Damasco e da lì coordinavano le azioni contro Israele hanno dovuto lasciare la capitale siriana.
Lo stesso vale per l'Egitto: con l'insediamento di al-Sisi, è venuto meno l'appoggio di un alleato forte come poteva essere Mohammed Morsi, espressione dei Fratelli Musulmani, più estremisti e vicini ad Hamas.