Figlia suicida, genitori accusati: è giusto?
Prima di lanciarsi nel vuoto, una sedicenne ha scritto che padre e madre le avevano reso la vita impossibile. La procura ha avviato un’inchiesta. Per una famiglia già colpita da un gravissimo lutto si aggiunge anche il senso di colpa. Ecco due opinioni a confronto.
a cura di Bianca Stancanelli
di Anna Oliverio Ferraris, docente di psicologia dello sviluppo all’Università La Sapienza di Roma e autrice di "Conta su di me. Relazioni per crescere" (Giunti editore).
In astratto, potrebbe forse essere giustificato andare a verificare il comportamento dei genitori. Ma la loro condanna è già nel suicidio della figlia. A che serve ora l’intervento della giustizia? È una vicenda che è molto difficile giudicare dall’esterno. Un dato certo è che essere genitori non è mai stato facile, ma oggi è ancora più difficile. Da un lato, ci sono genitori spaventati dalla complessità del mondo, allarmati dai possibili pericoli per i figli, dall’altra adolescenti che vogliono più indipendenza e autonomia, ma che sono ancora fragili. Questo può determinare uno scontro. L’ideale sarebbe che potesse intervenire un terzo, che sia un parente o un professore o lo psicologo, una persona che aiuti sia i genitori che l’adolescente a vedere più chiaro e a trovare una via d’uscita. È molto utile poter contare sulla presenza fissa di uno psicologo negli istituti superiori, capace di dare ai ragazzi la certezza di essere ascoltati senza essere giudicati, e capaci anche di avvicinare genitori e figli. Così come sarebbe utile che i media dessero spazio alle problematiche educative avvalendosi di persone competenti.
Leggo che questa ragazza avrebbe chiesto ai suoi di andare a studiare in Cina per un anno. È certo una richiesta che può allarmare due genitori, ma si tratta di ragionarci su. Non penso che padri e madri debbano cedere su tutto, ma ragionare insieme sì – e lasciare progressivamente spazi di autonomia ai figli.
di Melita Cavallo, presidente del Tribunale dei minori di Roma.
Un pm può formulare l’imputazione, ma in concreto un così terribile tema accusatorio si rivelerà molto difficile da provare. Fino a 20-30 anni fa il suicidio giovanile era nel nostro Paese un evento eccezionale, oggi purtroppo non più. I giovani sono sempre più frequentemente fragili e disorientati: hanno smarrito il senso della propria esistenza.
Un adolescente che si toglie la vita è un ragazzo che ritiene di non avere via di scampo. La relazione intrafamiliare è sicuramente una componente rilevante, se non esclusiva, del malessere esistenziale che trova la sua espressione estrema nel suicidio. Spesso i genitori non si rendono conto di avere bisogno di sostegno, di una mediazione. Non di rado ascoltiamo ragazze e ragazzi che hanno tentato il suicidio per cercare di capire cosa fare per dare aiuto a loro e alle loro famiglie e ci troviamo di fronte a relazioni seriamente disfunzionali, mai attenzionate prima. Non dobbiamo tuttavia cercare un colpevole perché non c’è intenzionalità nel provocare malessere, a volte incontenibile, nei figli. Nei fatti, quando quel malessere si produce, spesso sono vittime sia i genitori che i figli. Dobbiamo riattivare l’attenzione di tutte le agenzie educative e porre al centro il benessere individuale del giovane come responsabilità sociale, rifondando una nuova pedagogia che ricollochi al centro la persona e sia attenta al suo percorso di crescita.