Baby gang, così nasce la violenza degli adolescenti
Un gruppo di minorenni ha terrorizzato per mesi la città di Reggio Emilia. Ecco come un ragazzo si trasforma in un potenziale criminale
Le imprese della baby gang, per mesi, hanno creato un vero allarme sociale. A Reggio Emilia si sono susseguiti incontri con i Carabinieri chiesti dai genitori e persino un Comitato per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica. Intanto le rapine, i furti e i danneggiamenti pianificati e portati a segno da sei minorenni si susseguivano. E ogni volta la composizione della baby gang cambiava in base al “colpo”.
Secondo le indagini dei militari dell’Arma che li hanno arrestati, gli adolescenti agivano in bande composte da almeno 4 ragazzi, sotto la regia del capo, un 16enne reggiano, presente a tutti i colpi.
Il 4 novembre scorso, durante la ricreazione, la gang fece irruzione in un istituto superiore della città rapinando del portafoglio uno studente minorenne in fila alla macchinetta distributrice di bevande, torcendogli il braccio dietro la schiena dopo che lo avevano circondato.
Pochi giorni dopo, il 28 novembre, uno studente all'uscita di scuola venne raggiunto da 4 dei 6 malviventi che dopo averlo preso a pugni gli rapinarono l'Iphone 4. Il 7 dicembre, un altro minorenne venne minacciato e rapinato del suo Iphone 5.
Alessandro Padovani, Direttore Casa San Benedetto - Istituto Don Calabria, Verona, minorenni, spesso di figli di famiglie agiate che diventano rapinatori e portano a segni colpi nelle scuole. Che cosa scatta nelle menti di questi ragazzi?
L’adolescenza rappresenta una della fasi della vita maggiormente delicate, durante la quale qualsiasi evento può lasciare un segno indelebile. L’adolescente che commette un reato sperimenta nei fatti il superamento del limite rappresentato in questo specifico caso dalla Norma, dalla Legge, che tutta la comunità a cui lui stesso appartiene rispetta in forma convenzionale. È molto complicato descrivere le dinamiche e le cause alla base di un comportamento deviante, quale il reato. In linea generale è possibile affermare che in frequenti casi alla base della delinquenza minorile si trovano contesti socio-culturali abbastanza carenti e deficitari, spesso aggravati da situazioni familiari di disagio o insufficiente investimento educativo. Certamente, i motivi per il quale un minore diventa autore di reato non sono rintracciabili soltanto nel suo contesto di appartenenza, ma anche in predisposizioni caratteriali che trasformano la sperimentazione di sé e dei limiti imposti dall’adulto e dalla comunità all’estremizzazione.
Una volta arrestati qual è il loro atteggiamento in carcere o nelle comunità di recupero?
Nel Sistema Penale Minorile italiano la detenzione in Istituto viene presa in considerazione dai Giudici come ultima eventualità, disponendo il più possibile misure alternative alla detenzione come il collocamento di comunità. Le prime reazioni conseguenti all’entrata in Istituto penale sono di tipo depressivo, poiché il giovane si scontra con l’evidente costrizione dell’obbligo alla reclusione, che rappresenta un’esperienza esattamente opposta a quella della commissione del reato. Questa prima fase si sostituisce progressivamente con una presa di coscienza ed elaborazione dei motivi per i quali si trova recluso. In tal senso, è cruciale il ruolo degli adulti di riferimento, siano essi gli educatori dell’Istituto o della comunità, nell’affrontare con consapevolezza i primi passi verso la responsabilizzazione.
Questi ragazzi, una volta scontata la pena, tornano a delinquere oppure considerato l’estrazione sociale riescono a reinserirsi?
Da anni in Italia il Sistema della Giustizia investe con impegno e serietà nell’ambito della riabilitazione e prevenzione della recidiva. Gli ultimi dati indicano chiaramente come i minori sottoposti a misure alternative alla detenzione presentino tassi di recidiva notevolmente inferiori rispetto a quelli detenuti in Istituto. Il collocamento in comunità è tra i percorsi di reinserimento sociale tra i più efficaci e consentono al minore di sperimentarsi ed elaborare l’evento reato in un contesto protetto.
Le famiglie riescono ad intercettare atteggiamenti di disagio e come possono intervenire?
Nella crescita di un giovane la famiglia rappresenta certamente uno dei principali punti di riferimento. D’altro canto l’adolescente per definizione durante questa fase della vita investe molto anche sul gruppo dei pari. In tal senso, la famiglia osserva il figlio principalmente in un contesto individuale o in cui il gruppo è rappresentato dalla famiglia stessa. La delinquenza giovanile è spesso invece manifestazione di reati in concorso con altri ragazzi ed è quindi difficilmente controllabile dall’adulto. Certamente eventuali situazioni di disagio possono quindi facilmente sfuggire alla famiglia, che dovrebbe essere supportata dalle altre agenzie educative quali ad esempio la scuola. È fondamentale quindi che vi sia un’azione educativa coordinata e sinergica, in cui i genitori rappresentino il fulcro dell’intervento educativo.