Si può far scomparire un aereo dai radar?
Volare senza lasciare tracce è molto difficile. Sei risposte alle domande sul caso del Boeing 777 scomparso
Un Boeing 777 (un aereo con un’apertura alare larga come un campo da calcio) non è il mezzo migliore per passare inosservati. Non dai radar, almeno: “Il cielo viene osservato con un'alta frequenza, per sfuggire ai radar serve un’operazione ben pianificata da un grosso pool di esperti” dice a Panorama.it il professor Fabrizio Berizzi, del Laboratorio Radar dell'Università di Pisa. E il piano deve funzionare alla perfezione, perché “bisogna mettere in fila serie di situazioni poco probabili senza fare il minimo passo falso”.
Partiamo dai fondamentali. Cosa vuol dire che un aereo è “scomparso dai radar”?
Vuol dire che l'aereo non viene più rivelato dal sistema radar: il sistema non riceve più la eco di ritorno dell’aereo, che perciò non è più visibile sullo schermo del radarista. In realtà i radar per il controllo del traffico aereo sono due: uno, detto radar primario, che riesce a "vedere" l'aereo senza che questo sia cooperante; l'altro, detto radar secondario, è un sistema in cui l'aereo è cooperante. Funziona così: il radar interroga l'aereo inviandogli un segnale e il transponder (un risponditore automatico) installato sul velivolo gli risponde.
Secondo alcuni, il transponder potrebbe essere stato disattivato. Basterebbe per rendere il Boeing della Malaysia Airlines “invisibile”?
Anche quando la funzionalità del radar secondario viene meno l’aereo non “scompare”, se è in un’area coperta da un radar primario. Tenga conto che un radar per il controllo del traffico aereo, in media, può vedere un aereo di quelle dimensioni fino a circa 250 chilometri di distanza (se vola sotto i 18 mila metri di quota). Per essere invisibile, il Boeing si deve mantenere su una rotta che non incrocia mai il segnale di nessun radar di terra.
Secondo i dati inviati dai motori, l’aereo avrebbe continuato a volare per quattro ore dopo la sua “scomparsa”. È possibile?
Per non essere “visti” per quattro ore bisogna volare a una quota al di fuori del volume di sorveglianza dei radar. Dipende dai modelli, ma si parla di centinaia di metri dal suolo e comunque al di sotto dell’orizzonte radar. La rotta, poi, va pianificata con un’indagine seria: bisogna conoscere le caratteristiche di tutti i radar che si incontreranno lungo il percorso, per essere sicuri di mantenersi in una zona al di là della loro portata. Bisogna essere precisi, non c’è spazio per le decisioni estemporanee.
Si può far atterrare un Boeing 777 senza lasciare traccia sui sitemi radar?
Sarebbe molto strano. Un aereo di quelle dimensioni deve atterrare su una pista ben nota e ben attrezzata. Non può certo atterrare, ad esempio, su un’autostrada. Normalmente, i tempi e gli slot per l’atterraggio vengono concordati dai piloti con la torre di controllo dell’aereoporto di destinazione. Per non lasciare traccia, eventuali dirottatori dovrebbero aver preso un accordo molto dettagliato a priori con chi li ha assistiti a terra e dovrebbero essere riusciti a completare l’operazione senza commettere il minimo passo falso.
Se volo, ad esempio, da Milano a Roma, ci sono dei punti di vuoto, in cui il mio aereo non è visto dai radar?
E’ molto improbabile. Pensiamo che ci sono delle apps per cellulare che ci dicono dov’è l’aereo in qualunque momento grazie ai sistemi di autoidentificazione (ADS-B). Non dimentichiamoci poi che il canale di comunicazione con la cabina di pilotaggio è sempre attivo, anche nel caso il radar non vedesse l’aereo.
È giusto dire che questa vicenda dimostra che la tecnologia radar ha dei limiti ormai inaccettabili?
No. Le certificazioni dei radar per controllo del traffico aereo impongono già dei limiti molto spinti, perché non possono certo permettersi di non vedere degli aerei in volo.