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ANSA/GIUSEPPE LAMI
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Agenzia delle Entrate: la rivolta dei dirigenti

Con la riforma voluta dal direttore Enrico Ruffini aumenta il malumore per le procedure di nomina con interpello di figure apicali

Un malumore silenzioso sta montando nei confronti degli alti gradi dell’Agenzia delle entrate. Per una volta non si tratta del risentimento dei contribuenti tartassati, ma di quello dei dirigenti che lavorano negli uffici dell’Agenzia e accumulano rabbia per quella che loro stessi definiscono come una presunta disinvoltura con cui viene selezionata la “classe dirigente fiscale”.

Il tema è quello delle vie tortuose con cui si aggirano i concorsi previsti dalla Costituzione per la nomina dei dirigenti, reso di stretta attualità dal riassetto organizzativo dell’Agenzia annunciato a sorpresa ad agosto 2017 dal neo direttore Enrico Maria Ruffini e di cui il 19 febbraio scorso è iniziata l’applicazione dopo vari rinvii.

La scarsa condivisione interna dell’operazione già non favorisce un clima di fiducia. Ma a far saltare sulla sedia una buona parte dei (pochi) dirigenti di ruolo sono i primi passi compiuti per metterla in pratica. A gennaio è stato bandito, non senza polemiche, un "interpello" (procedura selettiva largamente discrezionale, che non ha nulla a che vedere con un concorso pubblico) per oltre 140 dirigenti e a febbraio è arrivato il secondo per altre 26 posizioni, quasi tutte all’interno della direzione centrale.

Poiché nel marzo 2015 una sentenza della Corte Costituzionale ha bocciato sonoramente la pratica di saltare le procedure concorsuali (imponendo per questo la retrocessione di oltre mille dirigenti delle agenzie fiscali, di cui 800 all’Agenzia delle entrate), la scelta di procedere a nuove promozioni con lo stesso sistema richiedeva e richiede una motivazione molto forte. Che la direzione ha indicato nell’obiettivo di mantenere la continuità operativa, in ruoli che sono senza dubbio cruciali per la lotta all’evasione fiscale, nel passaggio dalla vecchia alla nuova organizzazione.

Una scelta del genere non può certo piacere a un dirigente di ruolo, ossia vincitore di concorso, che si veda scavalcato da un collega promosso al suo posto per altre ragioni e neppure a chi abbia a cuore trasparenza e indipendenza dell’Amministrazione. Tuttavia sull’altro piatto della bilancia c’è pur sempre l’efficace organizzazione di chi lavora per combattere la piaga dell’evasione, cosa che finora ha contribuito ad attenuare ogni riserva.

Ma stavolta è diverso, perché questo principio è violato clamorosamente da due delle nomine previste dall’ultimo interpello. Si tratta di ruoli molto importanti: capo settore della “Fiscalità diretta” e capo settore della “Fiscalità e compliance delle grandi imprese”, destinati entrambi, a quanto risulta a Panorama.it, a due ex incaricate, almeno una delle quali non ha mai superato un concorso nella Pubblica amministrazione. Cosa che manderebbe a farsi benedire ogni continuità ed efficienza, visto che le nuove responsabili dei rispettivi settori si troveranno d’ora in poi a impartire ordini ai colleghi che li hanno guidati finora, forti di esperienza e titoli maggiori dei loro.

Situazione del tutto inaccettabile per il sindacato dei dirigenti Dirstat, che su questo sta facendo fuoco e fiamme, come spiega il segretario generale aggiunto Paolo Boiano. “Il ruolo di capo settore che con questo interpello si prevede di assegnare a un funzionario è al di sopra della dirigenza ordinaria. Comporta attività di direzione e di coordinamento di uffici che non possono essere assegnate a persone incaricate temporaneamente di funzioni dirigenziali. E non è ammissibile che un dirigente si trovi a dover rispondere a un funzionario. Altro che lotta all’evasione. Qui siamo di fronte, almeno potenzialmente, a una forma di clientelismo”.

Vale infine la pena di ricordare che la riforma dell’Agenzia delle entrate in fase di realizzazione sta incrementando sensibilmente il numero già assai corposo dei dirigenti rispetto a quello dei funzionari (meno pagati). E come se non bastasse un meccanismo di calcolo dei premi di risultato quanto meno discutibile fa sì che ogni promozione da funzionario a dirigente di seconda fascia faccia lievitare la retribuzione di quelli della fascia superiore (cresciuti da 25 a 37 nei pochi mesi di gestione Ruffini) che ne sono responsabili. Senza alcuna distinzione fra le nomine realizzate nel completo rispetto delle norme, ossia con i concorsi, e quelle avvenute in modo discrezionale, aggirando di fatto il contenuto di una sentenza della Corte Costituzionale.

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Stefano Caviglia