Alimenti fake, dalla Cina con... contraffazione
Sugli scaffali arriva un’impensabile quantità di alimenti provenienti dalla patria del «fake», ma la cui origine non è segnalata. E potrebbe essere pericoloso. Lo dicono gli stessi orientali che vivono in Italia
Torino, quasi 300 tonnellate di sementi da orto, con un valore stimato di oltre 38 milioni di euro, spacciati come italiani e in realtà prevenienti perlopiù dalla Cina. Porto di Genova, bloccati 600 chili di arachidi cinesi con micotossine cancerogene. Napoli, 20 tonnellate di alimenti importati dalla Cina fermati dalla Asl. Si potrebbe andare avanti così per pagine, mettendo in fila gli ultimi interventi che lungo la Penisola raccontano come l’agroalimentare italiano sia puntualmente invaso da prodotti cinesi. «Sono soprattutto semilavorati che diventano poi prodotti finiti» spiega Stefano Masini, capo Area Ambiente di Coldiretti. «Per questo è ancora più complesso individuarli. Un esempio è il concentrato di pomodoro, certamente il più diffuso, ma anche preparazioni a base di frutta, verdura, pesce o carni, finiscono per essere spacciati per italiani approfittando della mancanza per molti cibi dell’obbligo dell’etichetta di origine». Ciclicamente il concentrato di pomodoro è oggetto di inchieste e scandali. Ultima quella promossa dalla Bbc che, a fine 2024, ha accusato alcune delle maggiori catene di supermercati di vendere alimenti con indicazioni di provenienza non veritiere: c’era scritto «Italia», ma si sarebbe dovuto leggere «Cina».
Emblematico il blitz organizzato da Coldiretti nel porto di Salerno con protagonista un carico di 40 container di concentrato di pomodoro proveniente dalla regione cinese dello Xinjiang che - sottoposto ad analisi - è risultato non conforme, ed è stato sequestrato. «Il doppio e il triplo concentrato di pomodoro viene restituito alla consistenza di una normale passata con la semplice aggiunta di acqua. Il procedimento di per sé non è vietato, a patto che si dichiari in etichetta l’origine del concentrato» precisa il generale Daniel Melis, comandante del Comando Carabinieri per la tutela agroalimentare, che opera nel settore dell’agricoltura, dell’agroalimentare e della pesca con l’obiettivo di garantire la sicurezza alimentare e tutelare i consumatori. Purtroppo non è un caso isolato. Anche il miele vive una sorte analoga. «Nel 2023 sono arrivati dall’estero in Italia oltre 25 milioni di chili di miele. Una mole di prodotto a prezzi stracciati finita non a caso nel mirino di un’indagine della Commissione Ue che ha fatto analizzare una quota di campioni di miele importato, riscontrando come nel 46 per cento dei casi non fosse conferme alle regole comunitarie, con l’impiego di sciroppi zuccherini per adulterare il prodotto, aumentarne le quantità e abbassarne il prezzo e l’uso di additivi e coloranti per falsificare l’origine botanica» spiega il presidente di Coldiretti Ettore Prandini. Anche in questo caso il numero maggiore in valore assoluto di partite sospette proveniva dalla Cina (66 su 89, pari al 74 per cento).
Ma come fare per contrastare un fenomeno - complice anche la ricerca di prodotti a buon mercato da parte dei consumatori - in esponenziale aumento? Fondamentale è mettere a punto etichette trasparenti che evidenzino l’origine dei prodotti, segnalare gli alimenti sospetti - lo si può fare facilmente dal sito del Ministero - e aggiornare la normativa. «Le norme rappresentano un problema nel problema» ragiona ancora Masini. «Quelle attuali non sono più adatte ad assicurare la tutela dei consumatori e degli agricoltori. Sono ormai dieci anni che è ferma in Parlamento la revisione delle leggi sui reati alimentari proposta da Giancarlo Caselli con l’introduzione di nuovi strumenti investigativi e l’aggiornamento delle norme penali. Una mancanza che grava anche a livello europeo dove la norma sul codice doganale continua a permettere di produrre cibo italiano fasullo grazie al principio dell’ultima trasformazione sostanziale». Ovvero: a mettere l’indicazione di provenienza è il Paese in cui il processo viene ultimato. E così fra aglio, funghi, mele e olio di oliva la lista degli alimenti che vengono puntualmente contraffatti è lunga. A confermarlo è il Rapid Alert System for Food and Feed (Rasff), il portale europeo per la sicurezza alimentare, che ha giudicato seri molti dei 52 allarmi alimentari legati a prodotti provenienti dalla Cina. «Noccioline con aflatossine, norovirus nelle alghe congelate, salmonella nel peperoncino sono solo alcuni esempi. I rischi per l’uomo sono significativi, e sono relativi a presenza di possibili residui di antiparassitari vietati in Ue da decenni, micotossine, inquinanti ambientali da acque o terreni contaminati, migrazione e rilascio di sostanze tossiche da macchinari o contenitori non a norma», dice ancora Stefano Masini, che di Coldiretti, oltre a essere capo Area Ambiente, è anche membro del comitato scientifico dell’Osservatorio Agromafie.
Fondamentale sottolineare che questi prodotti arrivano nel nostro Paese attraverso gli scali marittimi, grazie a triangolazioni con altri Stati europei, e non ultimo per mezzo del trasporto su gomma. «La provenienza estera non è di per sé un problema. Se un prodotto rispetta gli standard normativi nazionali ed europei, può entrare nel nostro Paese ed essere trasformato o destinato direttamente alla vendita. Ma è importante che nell’ambito delle cosiddette pratiche leali d’informazione, il distributore/venditore italiano o straniero indichi la reale provenienza del prodotto, ovvero l’origine», precisa il generale Melis. In questo modo il consumatore è libero di scegliere, valutando tanto il prezzo quanto l’origine di ciò che sta acquistando.
«In Cina è valido il detto: tutto ciò che vola nel cielo, si muove sulla terra o nuota nell’acqua può essere mangiato. Ma questo non è ovviamente condiviso dagli italiani. Anzi, con gli anni siamo stati noi cinesi ad adeguarci al modo di mangiare e di pensare di qui» commenta Sonia Hang, del celebre e omonimo ristorante romano. Lo sa bene anche Antonio Zhang, che da anni anima le strade di via Pistoiese, nella Chinatown di Prato: «Nel mio negozio vendo tutte le prelibatezze cinesi. Si va dai bachi da seta, che vengono fritti o bolliti per essere consumati come snack croccanti, al “pesce pene” che è servito in polvere per esaltare il sapore umami. È una cosa molto particolare, arriva direttamente dalla Cina per i miei clienti. Se non ci fossero alimenti tanto unici forse avrei già chiuso. Qui gli italiani non vengono a fare la spesa. Un paio di anni fa frequentavano la zona per risparmiare, ma da quando c’è stato il Covid tutto è cambiato. E anche i cinesi, che un tempo compravano solo dai negozi di zona, sono sempre meno. Il motivo è unico: la Cina è inquinata, meglio mangiare quello che viene prodotto in Europa».
La diffidenza sembra legata ai continui scandali alimentari documentati all’ombra di Pechino, e che evidenziano gravi problemi di sicurezza e controllo sulla filiera. Fra i tanti, indimenticabili quelli rivelati l’anno scorso. Il primo - ampiamente rappresentato da video su video - riguarda l’uso di cisterne di carburante per il trasporto di olio da cucina e altri prodotti alimentari. Poi, giusto qualche mese dopo, è emerso che alcuni produttori utilizzavano illegalmente sostanze chimiche come metabisolfito di sodio e zolfo industriale per migliorare l’aspetto e prolungare la conservazione delle bacche di goji, uno dei prodotti simbolo della medicina tradizionale cinese, esportato in grandi quantità in tutto il mondo. Ma c’è un altro problema, per niente secondario: i prodotti cinesi spacciati in giro per il mondo, e anche in Cina, come italiani. Interessante una recente analisi, firmata da Ambrosetti, secondo cui la quota media di prodotti tricolore contraffatti sugli scaffali dei supermercati cinesi è del 53 per cento. «Ciò vuol dire» conclude Masini «che oltre la metà del cibo italian sounding che finisce nel carrello dei consumatori asiatici non ha nulla a che vedere con la nostra realtà produttiva. Un danno grave per le imprese Made in Italy, sia a livello di immagini sia economico». Anche perché, come è facile immaginare, i prodotti contraffatti sono decisamente più a buon mercato di quelli autentici.