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ANSA / CLAUDIO PERI / DBA
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Così "antagonisti" e criminalità gestiscono le occupazioni abusive

Da Milano a Roma spuntano militanti di ultrasinistra oltre ai caporali che sfruttano migranti ed esponenti dei clan mafiosi. Ecco le regole del racket delle occupazioni

Gli ultimi due antagonisti legati al racket delle occupazioni abusive sono stati arrestati a metà novembre per un «esproprio proletario»: avevano «fatto la spesa» in un market di via Ponti a Milano ed erano usciti senza pagare, portandosi via perfino cibo in scatola per animali, deodoranti per le ascelle e trucchi. Sprezzanti. Peccato che quell’atteggiamento da finti Robin Hood è chiaramente illustrato nel codice penale alla voce «furto». E, stando ai contenuti di un dossier della Digos, avevano frainteso anche il concetto di aiuto ai poveri: un mese fa erano stati denunciati per aver malmenato e minacciato due cittadini marocchini ai quali avevano affittato una casa occupata abusivamente.

È il racket degli alloggi, fenomeno diffuso in tutta Italia, appannaggio oltre che della malavita, di gruppi autonomi di sinistra e caporali che sfruttano gli immigrati. L’epicentro è a Milano. Al quartiere Barona, per esempio, a leggere i documenti della polizia, c’è un gruppo di antagonisti molto attivo che porta avanti il business sin dal marzo 2016. C’è chi è stato picchiato perché non aveva pagato l’affitto. Ma anche chi si era allontanato da un corteo di protesta. Perché c’è anche quello nel «pacchetto». L’obbligo di partecipare alle manifestazioni contro tutto ciò che da loro viene individuato come fascista. E negli atti giudiziari sono finite testimonianze di questo tenore: «Se ti allontani, ti chiamano e ti obbligano a tornare dove si svolge la protesta. Sempre sotto la minaccia di toglierti la stanza o l’appartamento, ci obbligano a partecipare a tutte le altre manifestazioni di protesta contro lo Stato. In particolare, me ne ricordo una sotto il Comune di Milano e un’altra in piazza San Babila contro il razzismo e l’ex ministro Salvini».

Chi si rifiuta viene subito bollato dal «tribunale antagonista», come il Nicola Bombacci di piazzale Loreto (da fondatore del Pci seguì Benito Mussolini a Salò): un «supertraditore» dunque. E infatti ecco le parole di un altro testimone (cittadino marocchino di 43 anni): «Sono stato accusato un po’ da tutti di essere un traditore, perché non m’interessavo alle loro attività. Hanno votato il mio allontanamento dalla sede di viale Faenza, senza mai considerare che il mio impegno era condizionato dai miei orari di lavoro».

Tra gli impegni da offrire al gruppo c’era anche la gestione dell’assegnazione abusiva delle case sfitte: dai 700 ai 1.500 euro per un appartamento. Prezzi proletari. Con un obbligo, però: partecipare alle manifestazioni antagoniste. E allora, un mese fa, sono scattati cinque divieti di dimora a Milano. La Procura ha mandato via dalla città i più facinorosi, tutti pregiudicati, tra i 21 e i 28 anni: tre italiani, due uomini e a una donna, un romeno e un angolano. È stato il marocchino a raccontare un pestaggio avvenuto sotto gli occhi di due bambini e di una donna incinta, anche lei maghrebina: «Nel tentativo di aiutarlo» ha raccontato la donna agli investigatori «anche io sono stata colpita da un pugno sotto il seno sinistro e da calci alle gambe e sono finita a terra. Ero ancora accasciata quando ho visto i miei figli avvicinarsi e piangere».

Loro, però, si nascondono dietro finti ideali nobili e su Facebook si difendono: «Occupare case per soldi è una pratica mafiosa, e la combattiamo ogni giorno». Usando, a stare alle ricostruzioni della Procura milanese, gli stessi metodi. Ma non c’è solo la Barona tra i quartieri colpiti dal fenomeno: l’ex scuola di via Zama, in zona Forlanini, per esempio, sembra essere diventata un hotel per immigrati irregolari e rom. «Quegli edifici» denuncia Silvia Sardone, eurodeputato della Lega «sono diventati rifugio per spacciatori e disperati, con tanto di racket degli alloggi». E già si segnalano pestaggi e intimidazioni.

Come al Quadraro di Roma, quartiere Tuscolano, dove case di enti e fondazioni erano state occupate per poi affittarle in nero. Anche qui, segnalano gli investigatori del commissariato di quella zona, sono in corso approfondimenti sul traffico di alloggi. Nella zona il fenomeno è ben conosciuto, tanto da aver portato a condanne penali pesantissime: oltre 50 anni di carcere in appello per il racket delle case popolari a Ostia, gestito dal famigerato clan Spada.

Ma a Roma, nonostante i continui blitz, ci sono ancora decine di fortini, al momento inaccessibili alle forze dell’ordine, in cui vivono abusivamente almeno 11 mila persone tra italiani e stranieri. Da ministro dell’Interno, Matteo Salvini aveva annunciato un piano per gli sgomberi con inizio primavera 2020. Finito il primo governo Conte, tutto si è bloccato.

Dalle brutte storie da suburbio raccolte dagli investigatori saltano fuori gli stessi meccanismi milanesi. A luglio i cronisti del Giornale hanno ricostruito quello che accadeva nella palazzina occupata di via Bruno Pelizzi 10, Cinecittà, gestita dal Coordinamento cittadino lotta per la casa: «C’è un comitato nominato dai vertici del movimento che spadroneggia e se non fai ciò che dicono loro ti buttano fuori».

Parole simili a quelle dei testimoni nell’inchiesta di Milano. Anche qui i «compagni» ti ripudiano se non partecipi alle attività antagoniste. La pena è temutissima: la perdita dell’alloggio. E allora, anche se con poca convinzione, gli inquilini sono tutti presenti alle assemblee del martedì, come a scioperi e manifestazioni. Comprese quelle in trasferta. Uno dei testimoni ha raccontato di essere stato costretto ad affiancare i No Tav in Val di Susa, anticipando pure le spese di viaggio.

A gestire il racket degli alloggi, tuttavia, non ci sono solo questi antagonisti e gruppi di «mala» del suburbio romano. A Bari, quartiere San Paolo, i magistrati antimafia hanno scoperto che le case popolari occupate venivano distribuite direttamente dai vertice del clan Strisciuglio.

A Corigliano e Rossano, in provincia di Cosenza, i padroni dei quartieri erano tre bulli (uno con condanna per associazione mafiosa) che, secondo l’accusa, gestivano gli alloggi popolari per assegnarli anche a parenti di detenuti per reati di mafia. Chi ne aveva diritto, invece, veniva sbattuto fuori con minacce e intimidazioni. Stessa scena a Napoli, dove 16 appartamenti occupati, proprio alle spalle della chiesa di San Domenico Maggiore e della Cappella Sansevero, erano diventati il bed&breakfast della camorra.

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Fabio Amendolara