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L'asso dei Carabinieri aviatori Brigadiere Ernesto Cabruna (sx) e il suo Spad VII con il cuore rosso in fusoliera (Archivio Storico Arma dei Carabinieri)
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La storia dei Baroni rossi dell'Arma

I militari dell'Arma diedero un apporto significativo alla guerra nei cieli del 1915-18. Alcuni di loro diventarono assi della caccia e del bombardamento


Soltanto dodici anni erano passati dal primo volo del biplano "Kitty Hawk" dei fratelli Wright quando l'Italia entrò nella Prima Guerra Mondiale. Il conflitto segnò un'accelerazione esponenziale del livello tecnologico della nuova arma aeronautica, nella quale l'Italia raggiunse una posizione di primissimo piano soprattutto nell'ultima fase del conflitto. Importantissimo fu infatti il contributo degli aviatori italiani dopo Caporetto e la ritirata sul Piave, sia in funzione protettiva nella ritirata che in seguito in quella offensiva che porterà alla vittoria del 4 novembre.
Essendo una specialità agli albori, il Regio Esercito non aveva organizzato ancora un'Arma aeronautica nazionale arruolando dalle diverse specialità i piloti dei caccia e dei bombardieri parte del Servizio Aeronautico.
Tra gli aviatori che combatterono nei cieli del fronte occidentale vi erano naturalmente anche i Carabinieri. I piloti delle Fiamme Argento inquadrati nei reparti di volo tra il 1915 e il 1918 furono 173, un numero non trascurabile sul totale degli apparecchi a disposizione del Regio Esercito. Alcuni di loro diventeranno assi, combattendo negli stessi reparti a fianco di piloti del calibro di Francesco Baracca, Pier Ruggero Piccio e Fulco Ruffo di Calabria. Alla fine della guerra il medagliere dei Carabinieri aviatori contò una Medaglia d'Oro, undici d' Argento, otto di Bronzo e una Croce di Guerra.
Vogliamo ricordarli scegliendo le storie di quattro Carabinieri aviatori. Due inquadrati nei reparti della caccia e due in quelli da bombardamento.

Brigadiere Ernesto Cabruna (M.O.V.M)


Nato a Tortona (Alessandria) da un famiglia di commercianti, è attratto sin da ragazzo dalle imprese dei pionieri del volo. L'arruolamento nei Carabinieri data 1907, mentre l'anno successivo è impegnato nei soccorsi alla popolazione di Messina colpita dal devastante sisma del 1908. Due anni dopo Cabruna dimostra la sua passione sfrenata per il volo presentando e registrando il brevetto di un aeroplano e di un'innovativa elica per la propulsione aerea e acquatica. Durante la guerra italo-turca è impegnato nell'occupazione dell'isola di Rodi. Allo scoppio della Grande Guerra chiede di essere inviato al fronte, inquadrato nella Decima Compagnia Carabinieri guadagnando la prima medaglia di bronzo per l'assistenza ai feriti durante un combattimento sull'altipiano di Asiago. La svolta per il futuro asso dell'aviazione avviene nel luglio 1916 quando la domanda di diventare aviatore viene accolta. Trasferito a Torino-Mirafiori, quattro mesi dopo ottiene il brevetto di pilota su un caccia Farman, inquadrato nella 29a Squadriglia ricognizione di base a Cavazzo Cranico, nei pressi di Tolmezzo. Dopo una successiva abilitazione ai caccia Nieuport di nuova generazione, il maresciallo farà parte della 80a, della 84a e infine della 77a Squadriglia con la quale costruirà la propria fama di asso a fianco di piloti del calibro di Pier Ruggero Piccio, inizialmente operando su biplani Nieuport 11 e quindi sugli Spad VII dall'aviosuperficie di Aiello del Friuli. Le imprese di Cabruna si concentrano nel periodo successivo alla disfatta di Caporetto, contribuendo efficacemente alla protezione delle truppe in ritirata verso il Piave e alla successiva offensiva che porterà alla vittoria, nella quale l'aviazione italiana guadagnerà il dominio dell'aria. Il 26 ottobre 1917 e il 5 dicembre dello stesso anno abbatteva due caccia nemici, mentre il 14 novembre, di scorta ad un bombardiere, riusciva a proteggerlo dall'attacco di tre caccia rientrando incolume. Ma l'impresa passata alla storia vide Ernesto Cabruna protagonista nel cielo sopra Ponte di Piave il 29 marzo 1918. ai comandi del suo Spad VII con il cuore rosso della Squadriglia in fusoliera, il maresciallo intercettava un bombardiere austriaco accompagnato da dieci caccia di scorta. Per nulla intimorito dalla superiorità numerica avversaria, il suo Spad attaccò la formazione nella quale spiccavano i Fokker rossi della squadriglia di Manfred Von Richthofen, il Barone Rosso. Ingaggiato il combattimento Cabruna abbatteva due caccia nemici tra cui quello del caposquadriglia, mentre il resto della formazione nemica si allontanava. L'azione eroica gli valse la copertina della Domenica del Corriere illustrata da Achille Beltrame, oltre alla proposta di Medaglia d'Oro, che il Maresciallo rifiutò in cambio della promozione al grado di Sottotenente. Cabruna rischiò la vita scampando per poco alla mortali 26 settembre 1918 in un incidente di volo durante l'atterraggio all'aeroporto di Castenedolo (Brescia) quando, per la rottura improvvisa di una tubazione dell'olio, fu accecato dal lubrificante fuoriuscito e cappottò impattando la pista. Ne riportò un trauma cranico e la frattura di una spalla, ma ancora convalescente tornò ai comandi dello Spad concludendo con le ultime due vittorie prima della fine delle ostilità.
Durante il servizio nella 77a Squadriglia Cabruna entrò in confidenza con Gabriele d'Annunzio, con il quale rimarrà in contatto fino all'impresa di Fiume. Dimessosi volontariamente dall'Arma, fu il primo pilota ad atterrare nella cittadina occupata dai legionari e vi rimarrà fino al "Natale di sangue". Durante il periodo della Reggenza del Carnaro Cabruna sfidò a duello il direttore del giornale degli Arditi "La Testa di Ferro" Mario Carli per un articolo che infangava il nome dell'Arma dopo la decisione delle Fiamme Argento di lasciare Fiume.
Dopo essere stato reintegrato nei Carabinieri Reali, su proposta dell'asso Ruggero Piccio, Cabruna lasciava non senza rammarico l'Arma per essere integrato nella neonata Regia Aeronautica. Cabruna entra quasi subito in contrasto con il Maresciallo dell'Aria Italo Balbo per la fedeltà dell'ex-carabiniere al legionarismo fiumano in contrapposizione al fascismo che, secondo il carabiniere dell'aria, avrebbe tradito la causa accettando il trattato di Rapallo per opportunità politica. La sua attività nella Regia Aeronautica fu infatti assai breve. Non gradito ai vertici, fu trasferito in Cirenaica e quindi messo a riposo per una malattia cardiaca già nel 1932. Durante la Seconda Guerra Mondiale, pur non entrando attivamente nelle file della resistenza, ebbe contatti con i servizi segreti alleati. Ricercato dalla polizia, fu tra coloro che trovarono rifugio presso l'ospedale degli infettivi dell'Isola Tiberina a Roma. Sopravvissuto alla guerra, morirà a Rapallo nel 1960 dopo una lunga malattia. Il suo Spad VII con sul cuore rosso è uno dei velivoli storici attualmente esposti al museo dell'Aeronautica Militare di Vigna di Valle.

Capitano Ernesto Sequi (M.A.V.M)


Sardo del paese di Borsa (Nuoro), fece carriera come ufficiale dell'Arma nella specialità di Cavalleria presso la prestigiosa scuola di Pinerolo. Come molti altri cavalieri del Regio Esercito, si aggiunse alle schiere degli aviatori del Servizio Aeronautico dopo Caporetto inquadrato prima nella 76a e quindi nella 70a Squadriglia Caccia Aeroplani Hanriot, della quale avevano fatto parte anche l'asso degli assi Francesco Baracca e il suo futuro compagno di volo Fulvo Ruffo di Calabria. Durante l'attività con la 76a ritiratasi dopo Caporetto da Campoformido ad Istriana, il Capitano compie ben 50 sortite di caccia e 20 missioni di scorta, spesso rientrando con il velivolo crivellato di colpi delle mitragliatrici austriache. Nel tardo pomeriggio del 17 giugno 1918 nei cieli di Musile (nei pressi di San Donà di Piave) mentre imperversava una pioggia torrenziale eseguì un rischiosissimo mitragliamento a bassa quota contro gli Austriaci attestati sotto il Montello (dove due giorni dopo sarebbe stato abbattuto Baracca) riuscì a supportare l'offensiva italiana pur venendo colpito al volto dalla contraerea. Deciso a non voler atterrare in territorio controllato dal nemico, Sequi rimase in volo per un'altra ora e mezza pur perdendo molto sangue (per la frattura della mandibola oltre alla perdita di nove denti) riuscendo miracolosamente a rientrare al buio sul campo di aviazione di Gazzo (Padova) dal quale era decollato.

Vicebrigadiere Demetrio Artuso (M.A.V.M)

Classe 1888, nativo di Reggio Calabria, entra nei Carabinieri nel 1908. Trasferito a Bologna, cinque anni dopo è inviato all'Asmara inquadrato nel Regio Corpo Truppe Coloniali, dove viene promosso vicebrigadiere. Rientrato in in Italia alla vigilia della Grande Guerra, viene mobilitato e destinato al Battaglione presso il Comando Supremo. Sin dai primi mesi di guerra esprime il desiderio di far parte del Servizio Aeronautico, richiesta che viene accolta con la destinazione alla scuola di volo di Cascina Malpensa, dove ottiene i brevetti per i velivoli da bombardamento Farman e Caproni Ca.3. La sua destinazione, la 3a Squadriglia del XI Gruppo Aeroplani di base a Comina (Pordenone). Artuso, ai comandi del trimotore Caproni già dal 1916 partecipò ai bombardamenti sopra l'aera di Trieste (Opicina, Lloyd Triestino e Cantiere San Saba). Il vicebrigadiere prese parte anche al primo bombardamento notturno sopra la zona dell'Hermada, un rilievo di poco più di 300 metri di altitudine nell'entroterra di Duino. Le azioni nel cielo della Giulia gli valsero la promozione a brigadiere, la Medaglia d'Argento e l'iscrizione quale aspirante ufficiale nella specialità del Genio.Nel gennaio 1918 la sua Squadriglia è trasferita sul fronte franco-tedesco dove Artuso parteciperà ai bombardamenti su Metz prendendo parte alla famigerata offensiva di primavera, sganciando in una sola notte di plenilunio sulla cittadina di Audun-Le Roman nell'attuale distretto di Briey quasi 1.400 Kg. di bombe. Artuso, prima dello scioglimento del Gruppo alla fine delle ostilità, appuntò alla divisa da Carabiniere un'altra medaglia di Bronzo.

Brigadiere Albino Mocellin (M.A.V.M.-KIA)


Mocellin, classe 1881 originario di San Nazario (Vicenza), raggiunse in età adulta la statura allora assai rara di 1 metro e 90. Per queste sue caratteristiche fu arruolato dapprima nei Corazzieri, quindi nella Guardia a Cavallo del Re inquadrata nell'Arma dei Carabinieri. Dopo l'entrata in guerra nel maggio 1915 entra a far parte del Servizio Aeronautico con il brevetto per il bombardiere trimotore Caproni Ca.3 e destinato successivamente alle basi in territorio albanese con la XI Squadriglia bombardieri. La mattina del 12 ottobre 1916 il bombardiere italiano rullava per una sortita di bombardamento in territorio nemico. Assieme a Mocellin prendono posto il Capitano Ercole Ercole e l'osservatore Capitano Emilio Corbelli. Giunti nel cielo sopra Zharnec il trimotore veniva intercettato da un caccia Hansa-Brandeburg C.I. austriaco. Più veloce e manovrabile del Caproni, il biplano nemico piombò sull'aereo di Mocellin crivellando la fusoliera del Caproni con una raffica precisa che attraversa tutta la lunghezza dell'aereo. Mocellin si accascia sui comandi mentre il capitano Corbelli ha il petto squarciato dai proiettili. Mentre il bombardiere imbarda privo di comandi, il Capitano Ercole, che aveva preso il posta di mitragliere lasciando la cloche a Mocellin, riesce a riguadagnare il controllo dell'aereo con i serbatoi del carburante squarciati compiendo un atterraggio di fortuna i territorio nemico, a circa 50 Km. dalla linea del fronte. Riuscirà con una fortunosa marcia a rientrare al proprio reparto, venendo insignito in seguito della medaglia d'oro e celebrato da Beltrame sulla copertina della Domenica del Corriere.
Albino Mocellin è il primo aviatore dei Carabinieri caduto in combattimento. Per il proprio passato da Guardia del Re, fu insignito della Medaglia d'Argento al Valor Militare che Vittorio Emanuele III decretò "motu proprio".

Gruppo di "Capronisti" ad Aviano in una cartolina postale d'epoca.

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Edoardo Frittoli