Ayahuasca, allucinogeni e riti tribali: diffusi anche in Italia
Le cerimonie a base di erbe allucinogene (illegali) e i riti primordiali richiamano centinaia di partecipanti. I motivi sono da ricercare anche nella solitudine e nella mancanza di punti di riferimento
La prima volta che ne abbiamo sentito parlare, in Italia, è stato durante la seguitissima serie tv Yellowstone, con Kevin Costner. Parliamo dell’ayahuasca, la “liana degli spiriti” - sostanza psicotropa allucinogena illegale nel nostro Paese- che uno dei protagonisti assume durante un rito sciamanico, nelle immense praterie tra Wyoming e Montana. Ma se, ovviamente, nella serie finiva tutto più o meno bene, in Italia invece dopo un rito simile un giovane, Alex Marangon, è morto.
Le indagini sono in corso: occorrerà appurare se al “Rituale di cura con la forza della foresta” che si era tenuto a fine giugno all’Abbazia Santa Bona di Vidor, in provincia di Treviso -alla presenza di sedicenti “curanderos” colombiani- e durante il quale è morto il giovane Alex si sia davvero consumata ayahuasca (ovviamente tutti i presenti negano) e consumato un crimine.Non è la sola sostanza psicotropa che viene utilizzata, anche in Italia. Nonostante, appunto, siano vietate. Riti a base di peyote, cactus San Pedro, tradizioni importate dall’America del sud, dal Messico, dagli USA prendono piede anche da noi: su Telegram proliferano i gruppi di "seguaci" che organizzano ritiri e rave. E se è vero che alcuni psichiatri le stanno testando contro i casi gravi di depressione borderline e di disturbo post traumatico da stress, l’utilizzo durante riti sciamanici improvvisati, dove l’ayahuasca viene mischiata ad altre droghe più o meno leggere, costituisce un grave pericolo.
Ma, oltre ai rischi per la salute (e legali ovviamente), viene da chiedersi perché sempre più persone anche alle nostre latitudini cercano risposte ed esperienze trasformative in questi riti che appaiono primordiali, e così distanti dalle nostre radici?: “C’entra molto l’influenza materialistica oramai diffusissima in tutto il mondo Occidentale, che ha preso piede nel nostro Paese soprattutto dopo la seconda guerra mondiale” spiega il professor Giuseppe Pantaleo, ordinario di Psicologia sociale presso la Facoltà di Psicologia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano “L’importanza che diamo agli oggetti, alle cose, agli obiettivi concreti e alle mete fattuali - e sempre meno alla relazione, alla reciprocità, allo scambio, all’arricchimento interpersonale e allo stare bene insieme. Poi, soprattutto negli ultimi tempi, con l’uso eccessivo dei social media e con il crescente isolamento che sperimentiamo ogni giorno, e necessariamente, dietro gli schermi dei nostri smartphone, è venuta meno, nei fatti, quella che i sociologi e gli psicologi sociali chiamano comunità (Gemeinschaft). A fronte di forme di materialismo dilagante e di individualismo spinto ritorna però sempre l’antico bisogno di credere anche in valori di tipo spirituale e di identificarsi con uno o più gruppi sociali”.
Il gruppo, appunto: quelli che una volta erano il semplice gruppo sportivo, amicale, la comunità politica, le associazioni: insiemi che – oltre a vantaggi concreti – offrono anche senso di appartenenza e condivisione di ideali. Solo che, laddove non riusciamo più a vivere appieno le attività che svolgiamo nel quotidiano, integrandoci nei rispettivi gruppi di riferimento, ecco che possiamo cadere nella tentazione di strane comunità alternative e “sette”: “Questo è anche paradossale” continua Pantaleo “Perché da un lato ci sono esperienze che riguardano direttamente la corporeità, anche in conseguenza dell’assunzione di sostanze e alla pratica di rituali che portano a riscoprire, in luce diversa, la dimensione corporea. Dall’altro permane il bisogno di spiritualità che le persone continuano a ricercare, attraverso l’identificazione sociale, all’interno del gruppo”.
Avremmo dunque sempre bisogno di mantenere un livello di autostima accettabile, e buona parte di questo “serbatoio di autostima” verrebbe riempito proprio attraverso lo scambio positivo all’interno delle comunità. Ma naturalmente c’è un costo: “Per essere accettati dal gruppo” continua Pantaleo “Occorre sottomettersi a certi rituali e regole. Se non li rispettiamo veniamo di regola emarginati. Questo può portare a ulteriori storture e a correre ulteriori rischi. Da un lato vogliamo liberarci da certi canoni vissuti come troppo stretti, e da un’esistenza fin troppo ancorata al materiale e al raggiungimento di mete e obiettivi magari insignificanti, dall’altro siamo necessariamente parte di gruppi sociali che richiedono sacrifici, anche importanti, in cambio di un senso di appartenenza e di un senso di identità, assieme alla promessa di una trascendenza simbolica”.
E’ ovvio che persone più solide, più strutturate e ancorate alla realtà sono meno suscettibili di essere attratte da pratiche di questo tipo: l’autostima e la consapevolezza di sé, possono quindi metterci al riparo dal canto delle sirene di queste esperienze, che spesso si rivelano davvero borderline. L’esperienza di Alex Marangon, trovato morto nel Piave due giorni dopo il rito sciamanico, con le indagini che avanzano tra bugie, omertà, testimoni fuggiti e altri la cui attendibilità è messa in dubbio dalle troppe sostanze psicotrope assunte, ci insegnano che con ayahuasca, pejote, cactus San Pedro, curanderos e altre amenità non è proprio il caso di scherzare.