La «benedizione» non è una questione di 10". O c'è o non c'è
La Rubrica - Lessico Familiare
Cosa può durare 10 secondi?
L’accelerazione da zero a trecento chilometri all’ora di una monoposto di Formula 1. La scottatura di certi tipi di pietanze particolarmente delicate. Il tempo in cui un tuono percorre circa tre chilometri.
Da oggi, anche la ‘benedizione’ ad una coppia gay o irregolare (perché sposatasi in comune o formata da coniugi precedentemente divorziati). Questa, in sintesi, la kafkiana vicenda che ha dir poco del paradossale.
Il 18 dicembre scorso, il Dicastero per la dottrina della fede, un tempo guidato dal compianto Joseph Ratzinger, e oggi dall’argentino Victor Manuel «Tucho» Fernández, amico fraterno di Papa Francesco, ha emanato il documento «Fiducia Supplicans», nell’ambito del quale vi è una concreta apertura alla benedizione delle coppie omosessuali e irregolari, ossia a tutte quelle unioni che proprio non rientrano nella concezione cattolica del matrimonio.
A parte il tempismo poco accorto di lanciare questa granata a frammentazione a pochi giorni dal Santo Natale, la notizia ha mandato in subbuglio teologi e fedeli, clerici e Chiese di tutto il mondo che – immediatamente – hanno espresso il proprio dissenso, a tacer dei più oltranzisti che hanno parlato persino di blasfemia.
Tale dev’essere stata la canea in seno alla Chiesa che il Vaticano ha sentito la necessità di precisare cosa s’intenda per ‘benedizione’: «Siano molto brevi, di 10-15 secondi, senza l'uso del Rituale e del Benedizionale», proprio per «distinguerle chiaramente dalle benedizioni liturgiche e ritualizzate».
Con tutta l’attenzione che merita disquisire di questi temi ‘sacri’, non credo di commettere peccato contro il Creatore se affermo che tutto questo sia frutto, quantomeno, di una gran confusione che poco giova alla Chiesa.
Perché una benedizione o c’è o non c’è.
Non si può esse incinta appena appena.
O si ha il coraggio di svecchiare la dottrina e fare come gli Stati laici che ammettono la parificazione delle unioni civili ai matrimoni, o si tiene la ‘linea’ inveterata nei millenni e si evitano queste sortite che creano solo imbarazzo e divisione nella comunità dei fedeli.
In un certo senso è come se il Papa, da sempre su posizioni dichiaratamente progressiste, per svincolarsi dai rigori della dottrina e dal calo dei matrimoni religiosi, da un lato abbia cercato di trovare nuovi fruitori della benedizione liturgica, allargando i sacri usci delle parrocchie e cattedrali anche a coloro che, storicamente, erano relegati all’esterno, dall’altro non abbia avuto il fegato di puntare i piedi e, con il successivo dietro-front, si sia rimangiato la portata innovativa della riforma.
Questa tecnica del far rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta e, di fronte alle polemiche, di correggere il tiro un attimo dopo, non è solo appannaggio del Vaticano, beninteso.
E’ un’usanza generalizzata che avviene anche nei Tribunali e nel Parlamento.
Dopo il sasso lanciato nello stagno, la mano tende quasi sempre a ritrarsi.
Per fare qualche esempio: nel 2017 la Cassazione, in materia di assegno divorzile, aveva elevato a principio il tema dell’autoresponsabilità post-matrimoniale, sostenendo che il matrimonio non potesse essere concepito come un’assicurazione sulla vita o un ente previdenziale, sicché – finito l’amore – ciascuno dei coniugi avrebbe dovuto rimboccarsi le maniche e camminare con le proprie gambe.
Una pronuncia dirompente ed epocale in linea con la giurisprudenza del resto d’Europa.
Senonché le Sezioni Unite della Suprema Corte, nel 2018, hanno emesso un’altra sentenza che, sostanzialmente, annacquava la precedente pronuncia e riportavano l’asse dell’assegno divorzile sui vecchi schemi.
E così, sentenza dopo sentenza, la portata innovativa del 2017, si è gradualmente dispersa.
Anche la pubblicizzata Riforma Cartabia in materia di famiglia nasce menomata perché, se da un lato unifica proceduralmente separazione e divorzio, dall’altro non ha avuto il coraggio di eliminare questa anacronistica bipartizione dei giudizi.
Insomma, si fanno tre passi in avanti e due indietro.
E per tornare alla fugace benedizione, ditemi voi quale valenza possa assumere un distratto imprimatur senza riti e preghiere, da consumarsi in pochi secondi come una carezza appena accennata.
Ditemi voi con che faccia (Bruno Lauzi direbbe “un po’ così”) usciranno dalle Chiese le coppie gay che riceveranno questo inutile orpello liturgico, falso come una banconota del Monopoli.
Tempi duri per la Chiesa, combattuta tra la voglia di evolversi e quella di rimanere fedele a se stessa.
“Non pretendiamo che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose”, disse Albert Einstein.
E con questo chiudo, augurando un 2024 felice, all’insegna della coerenza, alla faccia dell’anno bisestile.