Usa 2016: perché Bloomberg può vincere... O far vincere Trump
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Usa 2016: perché Bloomberg può vincere... O far vincere Trump

I punti di forza e quelli di debolezza dell'ex-sindaco di New York qualora decidesse di candidarsi davvero come indipendente per la Casa Bianca

Marzo 2016 sarà il mese fatidico: quello in cui l'apprezzatissimo ex-sindaco di New York Michael Bloomberg, confermerà o meno l'indiscrezione del New York Times secondo la quale il miliardario americano a capo di un impero nel mondo dei media parteciperà da indipendente alla corsa per la Casa Bianca.

Perché Bloomberg ci sta pensando
Sempre secondo quanto riportato dall'autorevole quotidiano, sarebbe già pronto un miliardo di dollari per sostenere la candidatura di Bloomberg alla presidenza degli Stati Uniti. Una cifra che rende già di per sé pericoloso l'ex-sindaco, che diventerebbe così la mina vagante in grado di sconvolgere le elezioni americane.

A spronare Bloomberg, secondo quanto sta emergendo dalla cerchia di amici e consiglieri, sarebbe un mix di irritazione e preoccupazione tanto per la supremazia di Donald Trump sugli altri candidati repubblicani quanto per le difficoltà e le incertezze che alla vigilia delle primarie stanno frenando la corsa di Hillary Clinton, favorendo l'ascesa nelle fila dei democratici del socialista Bernie Sanders. In particolare, se il voto in Iowa il 1° febbraio e quello in New Hampshire il 9 febbraio (i primi due Stati chiamati a esprimere la loro preferenza nelle primarie) dovessero confermare la tendenza su entrambi i fronti, la candidatura alla Casa Bianca del già tre volte primo cittadino di New York prenderebbe decisamente corpo.

I punti di forza della sua candidatura
Se marzo sarà il mese decisivo e se l'indiscrezione è rimbalzata sui media americani nel weekend, l'idea arriva però da più lontano. E' infatti noto che lo scorso dicembre Bloomberg ha commissionato un sondaggio i cui risultati non sono invece altrettanto noti, ma pare abbiano fotografato la sua candidatura come indipendente all'altezza tanto di quella di Trump che della Clinton.

In altre parole, la discesa in campo di Bloomberg andrebbe a infastidire (erodendo voti, oltre a trovarne di nuovi) entrambi gli schieramenti, anche perché - sempre secondo le indiscrezioni - la campagna elettorale messa a punto sulla carta dal miliardario con i suoi consulenti sarebbe focalizzata sul presentarlo come un "problem-solver", ovvero un tecnico capace di operare al di là dell'ideologia politica con l'obiettivo di risolvere anche i problemi più complessi. Un'immagine certificata in passato dal lavoro svolto a capo della Grande Mela, in cui Bloomberg - guadagnandosi l'ampio consenso dei suoi cittadini - ha puntato su un'amministrazione "bipartisan" impegnata appunto nell'ottimizzazione della gestione della metropoli americana. Il tutto cavalcando alcuni dei temi più cari alla destra repubblicana, a partire dalla sicurezza, così come assumendo posizioni decisamente "liberal" su alcuni temi sociali da sempre materia dei democratici: lotta ai cambiamenti climatici, diritto all'aborto, decisa stretta di vite sulla vendita di armi da fuoco, oltre a un'attenzione per la salute pubblica (dalla lotta al fumo a quella ai cibi e alle bevande nocive) che valsero a Bloomberg il soprannome di "sindaco-nanny", ovvero "sindaco-badante".

Un vantaggio per Trump?
Secondo alcuni osservatori politici, proprio la poliedricità politica del 73enne Bloomberg potrebbe però rivelarsi un'arma a doppio taglio rispetto alla possibilità di "saccheggiare" il necessario numero voti ai due schieramenti avversari. Con un possibile scenario messo in evidenza dal Financial Times che, nel ricordare come mai nessun indipendente abbia davvero insidiato repubblicani e democratici nella corsa alla Casa Bianca, considera la candidatura di Bloomberg come un possibile fattore di appiattimento del voto che potrebbe portare a una vittoria del comunque non irresistibile Trump. A certificare la teoria espressa dall'autorevole quotidiano, il simpatico aneddoto riferito ad Adlai Stevenson, leader dei democratici negli anni Cinquanta: a chi gli diceva che avrebbe avuto il voto di "qualsiasi essere pensante in America", il brillante politico rispose "Certo, ma comunque ho bisogno di una maggioranza". Quella alla quale, se scendesse in lizza, punterebbe comunque deciso anche Michael Bloomberg.

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