Brunetta (FI): "Sull'art. 18 la solita sinistra"
L'intervista all'ex ministro della P.a. sul Jobs act e le resistenze del Pd: « Se Renzi manterrà la linea voteremo sì»
«Dal 14 febbraio 1984 non è cambiato nulla. Da un lato c’è la solita sinistra conservatrice, fondamentalista, giustizialista, ideologica, dall’altra c’è il resto maggioritario del paese».
On. Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia, lei era nel governo Craxi e contribuì a scrivere materialmente il decreto di S. Valentino, che tagliò la scala mobile, la guerra civile della sinistra ora contro il jobs act significa che la guerra dei trent’anni non è finita?
«Significa che la guerra di liberazione da questa sinistra continua. Ero il consigliere economico del presidente del Consiglio Bettino Craxi e del ministro del Lavoro Gianni De Michelis. Feci io materialmente l’istruttoria tecnica per quello che si trasformò poi nel decreto di S.Valentino in una notte drammatica tra il 13 e 14 febbraio».
La notte in cui lei correva per tre piani di scale a Palazzo Chigi per far battere a macchina il decreto…
«Esattamente. Craxi fece approvare dal governo, per decreto, l’accordo che pazientemente da mesi si stava definendo. Questo accordo era molto corposo, oltre cinquanta pagine a stampa, prevedeva però alla fine il blocco della scala mobile come condizione fondamentale per sconfiggere la spirale inflazionistica salari-prezzi. Era un accordo molto complesso di dare e avere e ebbe praticamente tutte le parti sociali d’accordo, tranne la Cgil comunista, perché era d’accordo anche la Cgil socialista. La Cgil comunista si mise di traverso e obbligò a mettersi di traverso anche il Partito comunista. Il decreto fu fatto quella notte tra il 13 e il 14 febbraio, perché altrimenti il 14 ci sarebbero stati gli scatti di scala mobile e non sarebbe stato più possibile bloccare l’inflazione. Con quel decreto invece fu bloccato il meccanismo e fu bloccata la spirale inflazionistica. Il provvedimento ebbe poi vita molto travagliata, ci furono mi pare ben 4 reiterazioni. Però nel frattempo riuscimmo a sconfiggere l’inflazione. Ma l’anno dopo per volontà del Pci si andò al referendum e il referendum fu perso dai comunisti. E l’Italia si salvò».
Ma non si salvò la sinistra. Sta dicendo che la lezione non è stata imparata?
«La sinistra comunista, sia politica che sindacale, rimase sotto le macerie di quel referendum, perdendo il pelo non il vizio. Lo stesso schieramento di allora è oggi a confrontarsi sempre con lo stesso schieramento opposto. Da un lato, tutto il fronte imprenditoriale, sindacale, delle parti sociali che allora fu per il blocco della spirale salari-prezzi, e che oggi ritiene indispensabile il superamento dello Statuto dei lavoratori; dall’altro lato la sinistra sia politica che sindacale sulle barricate per l’articolo 18».
Lei allora era un uomo della sinistra, ma quella che oggi sta con Forza Italia. Si ritiene sempre un socialista?
«Io sono un socialista di Forza Italia, ho diretto la Fondazione Giacomo Brodolini, dedicata cioè al padre dello Statuto dei lavoratori. Conosco bene la storia dell’articolo 18 che non era nel testo originario di Brodolini. Ricordo che il Pci allora era contro lo Statuto dei lavoratori. E ricordo come pochi anni dopo l’approvazione, Gino Giugni già nel ’74 in sede Cnel auspicò il superamento dell’articolo 18 perché produceva guasti nel funzionamento nel mercato del lavoro».
Veniano al jobs act, lei oggi in un articolo su «Il Giornale» invita Matteo Renzi a stare «o di qua o di là». Che significa?
«O dimostra Renzi di appartenere alla parte dei modernizzatori dell’Italia o di appartenere (o sottostare) alla tradizione comunista o post comunista. Come allora il discrimine fu la scala mobile, oggi il discrimine è l’articolo 18».
Renzi avrà la forza di Craxi? Per ora ha spaccato Sel, Craxi spaccò la Cgil…
«Non ha spaccato nemmeno il Pd. Per me non può non passare per un chiarimento nel partito democratico».
Per una scissione?
«Per un chiarimento anche drammatico all’interno del partito democratico».
Forza Italia cosa farà in parlamento?
«Per ora stiamo valutando i testi. Domani scade il termine per gli emendamenti e valuteremo. Se Renzi sarà costretto a fare marcia indietro, umilianti compromessi, noi saremo ferocemente contrari; se Renzi manterrà la sua linea noi voteremo a favore».
Il voto a favore potrebbe essere il preludio a un governo politico di larghe intese?
«No, no. Una cosa alla volta. I problemi saranno per il Pd. Noi voteremo a favore di un provvedimento se sarà in linea con quanto sostanzialmente voleva già fare il governo Berlusconi nei primi anni 2000 e fu bloccato da una tristissima stagione di fondamentalismo sinistro. Alla Camusso che adesso si indigna per lo scontro vorrei ricordare le parole di Sergio Cofferati nei confronti di Marco Biagi. Detto questo, staremo a vedere».
Domani nuova votazione per la Consulta, non c’è il rischio che la guerra sul lavoro produca un’altra fumata nera?
«Noi votiamo Donato Bruno, Luciano Violante e Pierantonio Zanettin».