Calabria incendi
(Ansa)
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La Calabria continua a bruciare, ma i droni iniziano a fare giustizia…

I droni smascherano piromani in Calabria. L’antropologo Minervino denuncia una Calabria in fiamme, vittima di interessi malavitosi e degrado ambientale inarrestabile

A luglio erano stati già 34 gli incendiari identificati attraverso l’uso dei droni grazie alla campagna antincendio della Regione. A renderlo noto lo stesso presidente Roberto Occhiuto sui social: poi ulteriori 50 segnalazioni precoci di incendio. Insomma, “è ora di finirla”, aveva tuonato Occhiuto, spintosi nell’utilizzo del termine “idioti” riferito agli incendiari.

Per Mauro Francesco Minervino, autore di un libro pluripremiato «La Calabria brucia», pubblicato in prima edizione nel 2008 con prefazione di Franco Armino e Gian Antonio Stella, è una regione che «puntualmente ogni estate va a fuoco, in tutti i sensi: e l’immenso patrimonio boschivo continua subire stress difficilmente rimarginabili».

L’intellettuale calabrese, oggi tra i più autorevoli antropologi del paesaggio, cerca di fare ordine tra gli atavici ritardi e i plurimi interessi malavitosi che si celerebbero dietro i fuochi, anche di questa infuocata estate 2024: un gioco tragico del fuoco che si ripete tra «foreste monumentali perse per sempre» e «manovali delle fiamme». Addirittura un ultimo caso pare abbia lasciato il segno: una 68enne originaria di Luzzi, nel Cosentino, era arrivata persino a guardarsi intorno, per accertarsi che nessuno la vedesse. Poi pare abbia utilizzato un accendino e, quindi, appiccato le fiamme. Ma questa volta potrebbe non farla franca: teatro della singolare e drammatica vicenda San Leo di Luzzi, nel cosentino: un carabiniere, in abiti civili, perché fuori dall’orario di servizio, dopo aver assistito alla scena è riuscito ad allertare i soccorsi e a far arrestare la donna.

Professore Minervino, gli incendi di agosto sembrano una costante dell’estate calabrese…

«Dopo lunghi decenni di analisi e di fitta ricerca antropologica, mi è ancora difficile spiegare questo aspetto tragico e dolorosamente ricorrente della Calabria attuale. E gli incendi di questi giorni, certo difficilmente imputabili a fenomeni autocombustione, continuano ad annichilire risorse naturali preziosissime, a compromettere paesaggi e ambiti costruiti dal secolare lavoro dell’uomo, oltreché a sporcare l’immagine di questa terra di confine sospesa tra montagne, mare e cielo».

Corrado Alvaro sembra aleggiare in religioso silenzio!

«Lo scrittore di San Luca viene tirato in ballo continuamente, ma con quel suo celebre epitaffio dice ancora molto delle difficoltà di decifrazione che la Calabria impone: “Mi fu sempre difficile spiegare che cos’è la mia regione”, scriveva Alvaro con un incipit datato 1925. Queste sue parole, nonostante la distanza di un secolo, possono fare da sfondo anche alle nostre amare riflessioni ferragostane sulla furia incendiaria. In questi giorni i cieli della Calabria sono nuovamente avvolti da un mix di aria plumbea che sovrasta il cielo striato da una nuvola bassa e brunastra che resta sospesa a mezz’aria. Ai giorni della calura estiva si accompagna una cappa uniforme di fumo che avvolge questa regione come un sudario di fuoco. E, poi, l’odore acre di cenere, quella sensazione di bruciato e di annichilimento che lasciano i roghi degli incendi appiccati un po' dovunque. Qualcosa di simile a un girone infernale, insomma».

Professore, nel 2008 lei fu profetico e terribilmente visionario. E ovviamente inascoltato…

«Con “La Calabria brucia”, anche per via della potente e poetica prefazione di Franco Arminio, e poi in seconda edizione grazie anche alla nota di Gian Antonio Stella che ne scrisse sul Corriere della Sera, proposi una lettura antropologica complessa del fenomeno degli incendi dolosi. Qualcosa che andava oltre gli episodi. Perché ormai mi appariva evidente che non bastavano più i Canadair, le coraggiose squadre di Vigili del fuoco e gli interventi della Protezione civile, tutti assolutamente encomiabili, a mettere fine ad uno scempio scientifico e programmato di roghi incontrollati che annichiliscono risorse pubbliche e bellezze naturali, con centinaia di incendi dolosi da quegli anni arroventano e ammorbano costantemente l’estate dei calabresi, anche con disagio per turisti e visitatori che ancora continuano a scegliere i suoi ottocento chilometri di costa e le sue montagne per godere di natura, ospitalità e paesaggi che questa regione offre».

La sua è una denuncia pubblica. Si spieghi...

«Da anni, ormai, narro una Calabria caduta nella follia distruttiva e autodistruttiva dei roghi appiccati e dell’olocausto incurante di boschi e foreste: si bruciano i boschi secolari sul Pollino, in Sila e in Aspromonte, ovvero risorse pubbliche, patrimoni naturali, anche nel bel mezzo di tre Parchi nazionali. A me sembra questo l’apologo tragico di una deriva civile, l’effetto più esibizionistico di una democrazia senza qualità, degenerata di “oclocrazia”, intesa come governo caotico di una massa disordinata e priva di regole. Si bruciano i boschi perché occorre annichilire le residue risorse pubbliche e i beni indisponibili all’assoggettamento della natura, con dispendio di risorse umane, economiche e di mezzi tecnici, senza che altro effetto che la distruzione, il caos, il pericolo. L’affermazione di un potere al negativo. La rigenerazione dall’alto spesso auspicata dalla politica che sguazza in questa regione priva di opinione pubblica, se non si mette davvero fine a fenomeni così gravi e perturbanti, dubito possa davvero verificarsi».

Passato agosto, autunno e inverno incombono…

«Pagheremo tutto ciò che accade d’estate con gli incedi con le frane e le alluvioni che funesteranno puntualmente le prossime stagioni e di cui pagheremo il conto, perché il fuoco, assieme all’inquinamento del mare, alle discariche e ai cumuli di spazzature abbandonati ovunque, sta distruggendo anche le retoriche sviluppiste e il glamour effimero che celebra i successi quest’estate calabrese, con tanto trionfalismi e di pretese, a cui si contrappongono le lamentazioni tipiche dei disagi delle disfunzioni del periodo estivo. Un teatrino disperante. E’ un ritornello insopportabile, ottundente…».

Da anni sostiene che si incendia perché poi si potranno dare il via a nuove costruzioni?

«Ho indirizzato il mio ragionamento lungo quest’assedopo molte ricerche sul campo, che guardano a interessi concreti e a speculazioni visibili. Ma c’è altro, anche ragioni antropologiche e sociali più complesse dietro questo folle dispendio. Un progetto criminale più raffinato. Se l’obiettivo è quello di costruire dappertutto, il sacco cementizio del territorio sarà legge, un editto promulgato senza limiti per gli abusi e la sopraffazione, un addio al paesaggio, alla natura e alla sua bellezza. I beni pubblici e le risorse naturali, nonostante gli assalti e danni incalcolabili già subiti, rappresentano ancora oggi il più grande patrimonio indisponibile di questa regione. Uno spazio che fa gola a molti criminali e speculatori. La terra, il mare, l’acqua, il paesaggio, le risorse pubbliche. In primo luogo la terra di questa regione, nella sua straordinaria varietà e bellezza naturale, intesa come susseguirsi di campagne-colline-montagne tra due coste e due mari, è la posta di questo gioco a distruggere. Ognuna di queste risorse viene letteralmente negata e sacrificata sull’altare della speculazione e del malaffare criminale. Ma anche, e con conseguenze persino più disastrose, barattata nel commercio del consenso politico-elettorale e degli interessi incrociati, entro cui questi interessi spesso si scambiano di posto».

Va bene il caldo di queste settimane, ma…

«Non basta di certo il global warming a giustificare l’olocausto dei boschi. Il sospetto di una regia occulta è (quasi) certezza. Dalla retorica della probabilità, entrati nel campo delle certezze, come dimostrano le numerose indagini della magistratura di questi anni, e anche i numerosi inneschi incendiari rinvenuti puntualmente sui luoghi interessati. Unica regia occulta o progetto doloso diffuso, poco importa: gli interessi opachi, il malaffare, il disprezzo per le risorse naturali, in questo campo la trasversalità, regna sovrana».

Come dimenticare il tema della “forestazione” !

«Un’altra delle piaghe dolorose del declino civile di questa regione. La colpa è della ‘ndrangheta? E’ degli speculatori e degli intermediari che vorrebbero spartirsi intere porzioni di territorio? Dei costruttori senza scrupoli di slums abusivi, dei vecchi pastori di una perduta arcadia che fanno terra bruciata per ridurre i boschi a pascolo per pecore e capre? O degli stessi forestali che (si dice sempre sottovoce…) bruciano quello che loro stessi piantano per assicurarsi un lavoro sui cantieri di rimboschimento? Difficile dirlo. Ma se il tema fosse il lavoro da assicurare a questa categoria, basterebbe riconvertire i forestali, che nel frattempo sono molto scesi di numero, in custodi del verde pubblico e operatori qualificati di una Azienda Regionale delle Foreste degna di questo nome. Ma temo che anche in questo caso si preferisca continuare ad agire tra marginalità e ricatti sociali».

Il fenomeno è nazionale, ma la Calabria conta una delle più estese e diversificate superfici boscose d’Italia…

«Sì, ed è per questo la cura per i parchi e le aree naturali dovrebbe essere una delle occupazioni principali in questa regione. Le aree boschive sono ovunque e spesso abbandonate a sé stesse, ma pensare all’autocombustioneè ridicolo. Qui oltretutto, pare che il numero di piromani isolati, di fanatici del fuoco in gita di piacere, di mozziconi gettati distrattamente dai finestrini delle auto, di appiccatori di incendi dolosi per conto terzi è veramente troppo elevato da non far pensare ad altro!».

Insomma, l’ennesima estate dei cattivi pensieri, in fatto di incendi!

«Da tempo analizzo la cattiveria sociale come qualcosa che serpeggia e si incista nella vita sociale di questa regione come una follia collettiva. Mi interrogo da anni. Ma non c’è altra spiegazione… E’ come se una parte dei calabresi odiasse la propria terra (la natura, la storia, il paesaggio, se stessi e la vita stessa…) scatenando la follia incendiaria come un rito oscuro di annichilimento, un olocausto che resta senza una apparente spiegazionerazionale. Questi “calabresi” che inceneriscono quel poco di Calabria verde e di paesaggio di natura-naturale che ancora resiste, manifestano i segni del posizionamento irredento, tribale, selvaggio, che pratica dispendio (la dépense batalliana, ma rivolta al negativo) oltre ogni limite. Una sorta di realtà extraterritoriale, che si costituisce al di fuori ogni limite di convivenza civile. Il fuoco di una Calabria che vuole sottomettere e restare sottomessa, che rifiuta la razionalità condivisa del mondo contemporaneo con le sue regole di progresso e civilizzazione».

Insomma, la Calabria brucia. Estate dopo estate…

«Da antropologo culturale studioso sociale che vive dal di dentro la realtà di questa regione non posso che rilevarenella folle ripetizione degli incendi estivi una sotterranea pulsione di morte e di olocausto, un vero sfogo di follia autodistruttiva, un’ostilità alla vita, un desiderio di distruggere e negare. È un odio cieco e feroce che chi brucia i boschi manifesta non solo verso la natura ma anche verso sé stesso, un disprezzo per il suo corpo sociale, per la propria terra, trattata alla stregua di cosa inanimata e travolta una furia che tutto vuole annichilire, incenerire, consumare fino all’osso».

Ma la Calabria si ergerà ad “Araba fenice”?

«Da queste ceneri non si rinasce come se niente fosse. Intanto la Calabria brucia ancora, e brucerà ancora, focu meu!».

Ci perdoni: cosa vuol dire “focu meu”?

«Non è affatto un caso la ricorrenza di questa espressione popolare. E’ un motto molto diffuso in tutto la Calabria. Fuoco mio! Significa paura, pericolo, caos incombente. Tutte cose che evocano il fuoco, il suo potere. E’ la tipica espressione dialettale che fa della devastazione portata dal fuoco un innesco di angoscia, di stupore, la sensazione di meraviglia e di terrore che avvolge l’incredulità che si manifesta rispetto a qualcosa di inatteso, eccezionale e sconvolgente. Qualche volta, ma è più raro, accompagna un accadimento fuori dal comune o l’apparizione del meraviglioso. E’ l’espressione idiomatica di una cultura che non sa bilanciare gli eccessi, sempre alle prese con l’eccezione, la dismisura, sempre in dissidio con se stessa e con il mondo e la realtà che gli sta intorno. E’ quello che continuo a indagare e a raccontare da anni nei miei libri. Focu meu! per me è la Calabria».

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Egidio Lorito