cannabis light
(iStock)
News

Il paradosso della cannabis light: copertura legale per il traffico di droga

Dietro le coltivazioni autorizzate, fiorisce un mercato nero di marijuana ad alto contenuto di THC. E le falle della legge 242 del 2016 favoriscono un giro d'affari milionario per la criminalità organizzata

La recente stretta sulla cannabis light, approvata dalla Camera e inclusa nel decreto sicurezza, ha suscitato aspre critiche da parte delle opposizioni, in particolare per le conseguenze negative sugli imprenditori del settore. Ma c’è un aspetto delle coltivazioni della cannabis light che per lungo tempo è stato sottovalutato: le piantagioni legali di cannabis sono sempre più spesso usate come copertura per coltivazioni illegali di Marijuana. Un fenomeno emerso chiaramente dalle indagini e i sequestri effettuati dalle forze dell'ordine che hanno rivelato un crescente numero di casi in cui le piantagioni autorizzate di cannabis light erano in realtà coltivazioni per la produzione di marijuana ad alto contenuto di THC (tetraidrocannabinolo che è il principale composto psicoattivo della cannabis) da immettere sulle piazze di spaccio.

Un mercato florido che vede la sua massima espansione in Italia nella regione Sarda tristemente nota come “l’isola della Marijuana”. In Sardegna ogni anno vengono sequestrate tonnellate di cannabis gran parte delle quali proviene da coltivazioni che, ufficialmente, sono autorizzate per la produzione di cannabis light.

Gli ultimi sequestri

Tra giugno e settembre, solo nella stagione estiva, le forze dell’ordine hanno sequestrato oltre 600 chilogrammi di marijuana sull’isola.

Il 14 giugno, a San Giovanni Suergiu, la Guardia di Finanza ha sequestrato 11.000 piante e 73 chili di infiorescenze con un livello di THC 20 volte superiore al limite legale. La marijuana, destinata al mercato nero, avrebbe fruttato oltre 50 milioni di euro.

Il 27 giugno, a Selargius, sono state scoperte circa 100 piante di “cannabis indica” in un casolare dotato di un sofisticato sistema di irrigazione e aerazione con un THC sei volte oltre il limite legale.
Il 9 settembre, a Orgosolo, sono stati sequestrati 300 chili di marijuana in due piantagioni con impianti di irrigazione a goccia. Mentre l’11 settembre, a Talana, sono state sequestrate oltre 1.000 piante di cannabis con THC, 25 volte superiore al consentito.

Il sistema

Dietro la facciata delle piantagioni autorizzate, spesso si nasconde una realtà ben diversa. Al posto delle piante di cannabis light, vengono coltivare piante di Cannabis ad alto contenuto di THC, destinate al mercato nero. un trucco ingegnoso che sfrutta le falle della normativa attuale, permettendo alla criminalità di mascherare il traffico di droga sotto l’ombrello della legalità, mentre tonnellate di cannabis illegale continuano a essere sequestrate ogni anno.
Questo business, che muove milioni di euro, si basa su un sistema ben rodato: criminali incensurati ottengono permessi per coltivare cannabis light, ma in realtà piantano semi di cannabis ad alto contenuto di THC, destinati al mercato nero. Questa marijuana viene poi usata per finanziare traffici più redditizi ed importare cocaina ed eroina, spesso in collaborazione con potenti gruppi criminali come la ‘ndrangheta e la mafia albanese da piazzare sul territorio nazionale.

Il paradosso legislativo

La legislazione attuale non facilita la repressione di queste attività. La legge 242 del 2016 prevede infatti che per coltivare canapa sativa non siano necessarie particolari autorizzazioni, a patto che il contenuto di THC sia inferiore allo 0,2%, con un limite di tolleranza dello 0,6%. Molti coltivatori, scoperti, si difendono sostenendo che la produzione illegale sia frutto di errori nell’acquisto dei semi o condizioni climatiche particolari . Questa vaghezza normativa consente a molti di eludere le sanzioni, mentre dietro queste piantagioni si celano organizzazioni dedite al narcotraffico.

Il ruolo della criminalità organizzata dietro la cannabis light

La criminalità organizzata ha colto rapidamente il potenziale economico della cannabis in Sardegna, sfruttando le ambiguità legali e le difficoltà nel monitoraggio delle vaste zone rurali. Negli ultimi anni, diverse operazioni delle forze dell'ordine hanno rivelato il coinvolgimento di gruppi criminali strutturati nella coltivazione e nel traffico di marijuana ad alto contenuto di THC.

Un fenomeno che compare anche nel rapporto rapporto della Direzione Investigativa Antimafia (DIA), del 2023 la Sardegna è diventata un centro nevralgico per la produzione e il traffico di stupefacenti. Nel 2022, sono state sequestrate 15 tonnellate di marijuana sull’isola, metà del totale sequestrato in tutta Italia. Sebbene le mafie tradizionali non abbiano una presenza dominante in Sardegna, la criminalità locale ha stretto alleanze con gruppi della Penisola, esportando droga verso l'Europa. Il business della cannabis illegale è ormai radicato nell'economia sommersa sarda, e la stretta sulla cannabis light rischia di essere l'unico strumento per contrastare questo fenomeno dilagante.

Il mercato nero

La cannabis prodotta illegalmente in Sardegna non rimane sull’isola: gran parte di essa viene infatti destinata al mercato nero, non solo italiano, ma anche internazionale. Le organizzazioni criminali sfruttano la posizione strategica della Sardegna, che funge da ponte tra l'Italia e il resto d'Europa, per esportare il prodotto attraverso rotte marittime e aeree.

Secondo i rapporti delle forze dell'ordine, il traffico di cannabis è diventato una delle principali fonti di reddito per i clan mafiosi, che hanno visto nella Sardegna un’opportunità per diversificare i loro affari, passando dalla droga pesante alla cannabis.

I più letti

avatar-icon

Linda Di Benedetto