Carceri: la "rivolta" dei detenuti, la solitudine degli agenti
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Carceri: la "rivolta" dei detenuti, la solitudine degli agenti

Negli ultimi due anni sono raddoppiati i reati commessi all'interno delle strutture di detenzione. La denuncia del segretario dell'Uilpa, Angelo Urso

Le carceri italiane sono ormai alla deriva: risse, aggressioni, suicidi, atti vandalici ed evasioni. L'ultima meno di 24 ore fa dal carcere di Rebibbia: Catalin Ciobanu e Mihai Florin Diaconescu, detenuti del reparto G11 del carcere romano, hanno segato le sbarre del refettorio dove prestavano servizio e si sono calati dalla finestra annodando le lenzuola. Poi sono saliti a bordo di un autobus e sono spariti.

Raddoppiati i reati dietro le sbarre

Ma negli ultimi due anni sono più che raddoppiati i reati commessi in carcere dai detenuti sotto gli occhi degli agenti della Polizia Penitenziaria che, ormai da anni sottorganico, non riesce ad intervenire sempre in modo adeguato e soprattutto a prevenire. Anzi, spesso sono proprio gli agenti della penitenziaria, le vittime dei carcerati: orecchie mozzate, dita delle mani amputate a morsi, lesioni in varie parti del corpo.

Nel 2013 le aggressioni subite dagli agenti sono state 344, nel 2014 sono salite a 394 fino ad arrivare nel 2015 a 422. Un’escalation delle aggressione da parte di detenuti ai danni del personale di polizia penitenziaria davvero preoccupante che però, letta e analizzata assieme agli altri dati sui reati commessi dai detenuti, fa emergere un quadro davvero inquietante.

Atti vandalici

In 3 anni i reati commessi in carcere da parte di detenuti sono stati 3802: dai 983 commessi nel 2013 ai 1817 dello scorso anno. Anche le sanzioni disciplinari comminate nei confronti dei detenuti sono più che raddoppiate passando da 207 a 537, proprio come le devastazioni e gli atti vandalici. Letti distrutti, servizi igienici devastati, cuscini, materassi e vettovaglie frantumate. Nel 2013 l’amministrazione penitenziaria aveva registrato “solo” 663 episodi, nel 2014 si era arrivati a 955 mentre solo nei dodici mesi dell’anno appena concluso, l’elenco delle devastazioni ha raggiunto i 1379 casi.

Routine difficile

“Gli agenti della polizia penitenziaria possono essere coinvolti in qualità di spettatori, soccorritori e protagonisti ma ogni volta e in ogni occasione vengono messi a dura prova le loro capacità di adattamento in un contesto in cui gli eventi critici sono quasi una routine- spiega a Panorama.it, Angelo Urso, segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria- questi eventi possono avere un effetto traumatico e potenzialmente lesivo dell’idoneità dell’agente e non solo di quello che è rimasto vittima dell’infortunio o dell’aggressione ma anche per coloro che hanno assistito direttamente all’intervento o hanno prestato soccorso”.

“La situazione attuale all’interno delle carceri sta facendo crescere negli agenti che lavorano nei reparti detentivi, giorno dopo giorno, un senso di isolamento sociale e fisico che suscita un sentimento di abbandono da parte della propria amministrazione penitenziaria – precisa Urso – e che porta inevitabilmente l’agente a confrontare la propria condizione con quella dei detenuti. Non solo. Questa situazione induce ad una riflessione sulla monotonia e ripetitività del lavoro che alla fine possono risultare davvero dannosi per l’equilibrio fisico e psichico dei baschi blu”.

I suicidi degli agenti

Nel 2014 sono stati 11 i suicidi di agenti di polizia penitenziaria a fronte dei 7 del 2013.

“Non ci risulta che vi sia stata un adeguata sorveglianza sanitaria da parte dei medici competenti – denuncia il Segretario dell’Uilpa- in favore di quegli agenti che sono state vittime delle aggressioni o protagonisti di altri atti violenti così come spettatori delle violenze subite dai loro colleghi”.

In sostanza, secondo l’Uilpa, l'Unione italiana lavoratori pubblica amministrazone, lo Stato è latitante. Non c’è. L’Uilpa, infatti, denuncia la solitudine e l’abbandono “sanitario e psicologico” degli agenti che ogni giorno, prestano servizio nelle sezioni detentive e che sono costretti a sedare risse, soccorrere i detenuti che hanno tentato di uccidersi o a rimuovere i cadaveri di chi è riuscito nell’intento di togliersi la vita.

“La situazione sta sempre più degenerando- conclude Angelo Urso- il Ministero deve applicare le leggi esistenti sull’incolumità dei propri lavoratori all’interno delle strutture detentive e applicare in modo equo le sanzioni disciplinari nei confronti dei detenuti che compiono atti di violenza nei confronti degli agenti o vandalici. Ad oggi, dati alla mano, c’è una inequivocabile sproporzione tra reati commessi all’interno del carcere e sanzioni comminate ai responsabili. Questo fa sì, che il detenuto possa agire pressoché indisturbato consapevole che non verrà punito. Una spavalderia che si ripercuote sulla sicurezza e l’equilibrio psicologico della polizia penitenziaria. Lo Stato non può più voltarsi dall'altra parte e far finta di non vedere”.


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Nadia Francalacci