Carissima Europa
Inchiesta sugli sprechi da centinaia di milioni di euro del Parlamento Europeo (per cui voteremo il 26 maggio)
Con un viaggio di sola andata, da Londra ad Amsterdam, due mesi orsono Ema ha traslocato. L’acronimo sta per Agenzia europea del farmaco. Per capirci: quella che doveva essere trasferita in pompa magna a Milano. Ma oscure diplomazie, alla fine, preferirono la capitale olandese. Amen. Bye bye, euroscettica Inghilterra. Resta però un dettaglio da risolvere: l’affitto della vecchia sede. Voi, poveri contribuenti dell’Unione, fate contratti di locazione quadriennali? Ignari tapini. All’Ema si ragiona in grande: per decadi. I nostri eroi, incuranti del domani, s’erano difatti portati avanti: fino al 2038. E con una locazione blindata. Senza possibilità di recesso. Mettete quindi mano al portafoglio: ci restano da pagare 465 milioni. Per un palazzo, causa Brexit, completamente inutile.
Così va l’Europa. A proposito: la prossima settimana accorrete fiduciosi alle urne. C’è da eleggere il nuovo Parlamento di Bruxelles. Dove, intanto, lo scorso 26 marzo sono stati definitivamente approvati i «discarichi» del 2017. Cioè: i mirabolanti esborsi serviti per tenere in piedi la baracca europea. Consigli, agenzie, uffici, autorità, società miste. Ben 53 organismi. Si occupano di tutto lo scibile continentale: dall’uguaglianza di genere alle celle a idrogeno. Panorama ha letto le corpose relazioni che giustificano gli stanziamenti. Scoprendo costi lunari, organici sterminati e sprechi iperbolici. Come appunto quell’affitto siglato, in saecula saeculorum, per gli uffici londinesi di Ema. Inciampo che lo stesso Parlamento «deplora profondamente». Orsù, dunque: «Agenzia e Commissione europea devono fare il possibile per ridurre al minimo l’impatto finanziario, amministrativo e operativo del contratto di locazione sfavorevole».
Non ce ne vogliano gli stimati eletti. Ma è un po’ come se il cornuto desse del bue all’asino. Tenere in piedi l’assise di Bruxelles, nel 2017, è costato quasi 1,9 miliardi di euro. «Lo spreco più macroscopico è quello della doppia sede» racconta l’eurodeputato leghista Angelo Ciocca: il mastino che osò «timbrare», con la suola di una scarpa, gli appunti del commissario europeo agli Affari economici Pierre Moscovici, reo di aver insolentito l’Italia. Sfrontatezza diventata iconica: i sovranisti che si ribellano al governo di Bruxelles. «Una volta al mese» aggiunge Ciocca «tutto il Parlamento trasloca a Strasburgo per la seduta plenaria. Lì rimane quattro giorni. E poi ritorna in Belgio. Una follia che ci costa, solo per gli spostamenti, più di un miliardo a legislatura». Basterebbe allora chiudere Strasburgo per realizzare sostanziosi risparmi. Facile, no? Mica tanto: sull’annosa questione decide il Consiglio europeo, formato dai capi di Stato. Con voto unanime. E dunque: l’ipernazionalista Francia rinuncerà al suo pleonastico palazzone? Giammai. Adelante quindi, ma senzajuicio. Così, ogni anno, le sole trasferte assommano a 21,1 milioni.
Meno esoso, ma ugualmente simbolico, è l’esborso per la Casa della storia europea di Bruxelles, voluta dal Parlamento. Una sorta di museo costato quasi 50 milioni di euro. Aperto a maggio nel 2017, non scalda però i cuori. Appena 200 visitatori al giorno. Tanto che gli stessi deputati, nel documento di discarico, temono eufemisticamente «che il numero delle visite sembri esiguo rispetto alle uscite per il personale». Vale a dire: 4,4 milioni di euro. Urge, suggeriscono, attenta relazione tra costi e benefici.
Prassi, a dire il vero, cui andrebbe sottoposta pure la schiera degli ignoti e pletorici organismi lautamente finanziati. Come il fumosetto Comitato economico e sociale: il Cese. Trattasi di: «Organo consultivo di rappresentanza delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavori e gruppi d’interesse». Ovvero? Boh. Si sa solo che si riunisce una volta al mese a Bruxelles. Per sfornare 150 croccanti pareri, su materie che spaziano dalla cooperazione alla tutela dei consumatori. In cambio, costa 134 milioni all’anno e impiega 665 persone. Sempre nella capitale belga, ha sede il Comitato delle regioni. Anche in questo caso, il bilancio è cospicuo: 93,3 milioni. Così come gli assunti dediti alla causa: ben 489. Scopo dichiarato: portare la voce delle comunità locali nell’Ue. Intento lodevole, secondo l’opposizione. «Peccato» sostiene ancora il leghista Ciocca «che si sia trasformato in un carrozzone: di dubbio valore e dalle molte irregolarità, vista anche la denuncia di un ex revisore». Quanto alla produttività, lo stesso Parlamento ricorda che l’obiettivo del comitato era produrre, fiuuu che fatica, 15 studi all’anno. E invece, nel 2017, le pubblicazioni sono state appena nove.
Fiore all’occhiello della burocrazia continentale è però il Servizio europeo per l’azione esterna: la Seae. Una sorta di diplomazia dell’Unione, che costa 660 milioni l’anno: 423 solo per tenere in piedi 146 ambasciatine, sparse nel mondo, altrimenti dette «delegazioni». Dove lavorano 2.081 persone: tra cui 583 emissari inviati da Bruxelles. E ricompensati con uno stipendio medio, tenetevi forte, di quasi 177 mila euro. Vite di stenti. A malapena rinfrancate dai luoghi lavorativi. Poco meno della metà di queste sedi fuori dall’Ue, rintuzza la relazione dal Parlamento, ha uno spazio medio di oltre 35 metri quadri a persona. Insomma: ogni dipendente ha un monolocale per ufficio.
Veniamo però agli strabilianti dettagli. Fate fare un giro al mappamondo, chiudete gli occhi e appoggiate il dito. Ora poggiate lo sguardo sullo sperduto angolo di universo su cui è casualmente finito l’indice della vostra mano. Fate un sospiro di sollievo. Persino in quel remoto angolo del pianeta gli euroburocrati vivono e lottano insieme a voi. Anche lì l’Ue ha una sua delegazione. Combattiva. E ben nutrita. Avete puntato Trinidad e Tobago, perle dei Caraibi? Potete contare su trenta valorosi. Il dito è scivolato più a sud, verso la Guyana? Tranquilli: sono in 24. Oppure un po’ più a nord, alle Barbados? Fate sonni sereni: i baldi al vostro servizio sono 47. Magari, nell’opposto emisfero, avete scelto le Isole Fiji. Dove ci sono 54 solleciti mandatari.
Cominciate a chiedervi cosa diavolo ci sia fare laggiù per la diplomazia europea? Malignità. A Port Louis, a Mauritius, con l’Unione tatuata nel cuore, si dannano l’anima 32 impavidi. A Port Moresby, in Papua Nuova Guinea, 28 nostri indefessi agenti passano interminabili giornate a stringere mani e tessere alleanze. Nessun punto dell’orbe terracqueo è stato fortunatamente ignorato dalla burocrazia parallela di Bruxelles. Nove emissari sono arrivati perfino a Honiara, nelle Isole Salomone. Non sapete dove siano? Sprovveduti. L’arcipelago, immerso nella vegetazione lussureggiante, è nel bel mezzo all’Oceania, davanti all’Australia: luogo strategico per la diplomazia planetaria.
Veniamo dunque alle 32 agenzie decentrate dell’Unione. Nel 2017 sono costate circa 2,3 miliardi: il 13 per cento in più rispetto al 2016. In ossequio a rigide regole spartitorie, sono sparse in ogni angolo del Vecchio continente. Così a Salonicco, in Grecia, il Paese con la maggior disoccupazione nell’Ue, ha opportuna sede lo storico Cedefop. Ovvero: il Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale. Necessita di 17,8 milioni all’anno e impiega 98 persone. Alla causa si dedica con ardore pure l’Etf. Ossia: la Fondazione europea per la formazione professionale, di stanza a Torino. Altri 20 milioni e 130 assunti. E sempre nel ramo, ci sarebbe anche il Cepol di Budapest: 10 milioni e 60 addetti allo scopo. Si adopera per le forze dell’ordine. In particolare, esulta il Parlamento, organizza seminari online per scongiurare odio e razzismo contro rom, omosessuali e transgender.
Restiamo in tema. Alla Valletta, capitale maltese, ha sede l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo: l’Easo. A dispetto dei fini umanitari, l’organismo però non risplende di luce e bontà. La gestione economica, azzanna la solitamente mite Corte dei conti europea, «è inficiata da errori in misura rilevante»: i pagamenti irregolari sarebbero almeno 7,7 milioni, il 10 per cento del totale. E l’Olaf, l’ufficio antifrode della Commissione Ue, dopo le denunce di alcuni dipendenti ha avviato un’indagine interna. Che ha «rilevato violazione delle procedure di appalto». Il Parlamento, quindi, stigmatizza: «L’appropriazione indebita di fondi Ue, cattiva gestione, abusi di potere, mancato rispetto della protezione dei dati, molestie al personale». Infine, «si rammarica che la sfida della crisi migratoria non sia stata mitigata da una solida struttura organizzativa e da controlli interni efficaci». Niente paura, però. L’ufficio europeo per il diritto all’asilo cresce e prospera. Nonostante tutto. Il personale, entro la fine del 2020, dovrebbe toccare quota 500. Mentre gli appannaggi, a fine 2017, ammontavano già a 86,8 milioni.
È la parità di genere, invece, a stare a cuore a Eige, agenzia creata nel 2010 a Vilnius, in Lituania. Ha un bilancio di 7,7 milioni. Dà lavoro a 50 persone. Lo scopo è dei più nobili: «Rendere l’uguaglianza di genere una realtà all’interno e all’esterno dell’Ue». Eccezion fatta per il consiglio d’amministrazione dell’istituto stesso. Dove, si rammarica il Parlamento, vige sfrenato sessismo: appena sei uomini su 32 membri.
Ancora di discriminazioni si occupano i 105 dipendenti di stanza a Vienna. Dove è ospitata l’Agenzia europea dei diritti fondamentali, per la modica cifra di 23 milioni all’anno. In cambio, elabora consulenze su razzismo, xenofobia e discriminazioni varie. E poi il solerte Osservatorio sulle droghe a Lisbona. O il regolatore delle comunicazioni elettroniche di Riga, in Lettonia. Senza dimenticare la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Cento persone, impegnate da mane a sera, in quel di Dublino. Paga Bruxelles: 20,5 milioni l’anno. Ma vuoi mettere? Finalmente i bistrattati cittadini dell’Unione avranno ciò che meritano. Un agognato, ed economico, anelito di felicità.
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