Caso Abu Omar: la Digos spiò il Sismi
Ecco le rivelazioni fatte in aula dal dirigente della Digos di Milano, Bruno Megale
I telefoni del Sismi vennero spiati per due mesi dalla Digos di Milano che cercava di capire quale ruolo avesse avuto l'intelligence italiana nel sequestro dell'imam egiziano Abu Omar, avvenuto il 17 febbraio 2003 in via Guerzoni.
Seguendo le tracce di Abu Omar la polizia ha identificato 26 americani, tra cui il capocentro della Cia a Milano, per poi piombare nell'archivio di via Nazionale, a Roma, rintracciato in seguito ad un'intercettazione tra l'ex capo divisione Marco Mancini e Pio Pompa, ex funzionario del servizio militare sotto processo a Perugia per procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato.
Il dirigente della Digos milanese, Bruno Megale, ha riferito in aula le varie fasi dell'indagine successive al sequestro di quell'imam "radicale e pericoloso": "Intercettammo le utenze di alcuni agenti del Sismi e su disposizione del pm Armando Spataro adottammo cautele. Considerato il segreto di Stato evitammo di trascrivere brogliacci su questioni non attinenti alla nostra inchiesta. Sulla quale, ce ne saremmo accorti più avanti, all'esito della perquisizione in via Nazionale, c'era un'attenzione morbosa". "Pompa - prosegue la testimonianza - consulente esterno del Sismi, si occupava delle analisi geopolitiche sul terrorismo internazionale ma intratteneva rapporti diretti con alcuni giornalisti, tra cui uno di Al-Jazeera. Aveva rapporti stretti col vicedirettore del quotidiano Libero, Renato Farina, non un semplice contatto bensì una fonte stipendiata. Veniva chiamato Betulla e trasmetteva informazioni ottenute dal suo collega Antonelli. Quei rapporti, attraverso chiamate o appunti, venivano successivamente comunicati all'allora direttore del Servizio, Nicolò Pollari".
L'investigatore ha raccontato ai giudici anche i retroscena di un'intervista ai pm Spataro e Pomarici dopo che Farina "aveva concordato le domande con Pompa per conoscere lo stato dell'indagine". Finchè la Digos entra nell'edificio di via Nazionale, al civico 230.
"Un appartamento apparentemente anonimo ma enorme - dice Megale -, undici vani che Pompa aveva preso in locazione. Alla perquisizione presero parte anche i pm, non portammo via dovumenti segreti ma appunti sparsi e disordinati che rinvenimmo nei locali. C'erano molti atti pubblici come notizie di stampa, interrogazioni parlamentari, informative di reato, ordinanze di custodia cautelare. E poi altri report sull'affare Telekom-Serbia, Pirelli, Nigergate e altri riferimenti al terrorismo jihadista in Iraq. All'interno di una valigetta 24 ore - prosegue - trovammo un elenco di magistrati e analisi su possibili persone ritenute ostili al governo in carica. Ci colpì questo dossieraggio. Trovammo anche un documento nel quale venivano ricostruite le fasi del post-sequestro di Abu Omar, in cui era scritto che tre mesi dopo si trovava in un carcere del suo Paese. Per evitare contestazioni legate al segreto Spataro rinunciò all'acquisizione".
"Trovammo altri appunti sui Girotondi, sull'inchiesta Mitrokhin, altri riferimenti ai casi giudiziari di Tangentopoli, del sequestro Sgrena e dell'onorevole Dell'Utri - aggiunge il dirigente del Servizio centrale antiterrorismo Lamberto Giannini, già capo della Digos romana -. La procura ci chiese di valutare l'attendibilità del materiale sequestrato: parte di esso conteneva informazioni modeste, più che informazione ci sembrava disinformazione".
Pio Pompa, condannato con sentenza definitiva per aver ostacolato le indagini sul sequestro di Abu Omar, attualmente in prova ai servizi sociali presso una struttura di Chieti, nel corso della prossima udienza in programma per il 13 novembre renderà dichiarazioni spontanee.