Caso Bibbiano: così si fabbrica il "mostro" dei bambini in affido
Denunce, pressioni, imbeccate. Ecco le carte esclusive delle inchieste che mettono sotto accusa il metodo del prof. Foti
«Gentile dottore, trasmettiamo quanto di nostra conoscenza circa un’ipotesi di reato sulla bambina G. Il presunto reato sarebbe stato commesso dal padre». Comincia così una delle denunce inviate ai magistrati dai fabbricanti di mostri. A corredo, c’è l’usuale e allarmante relazione, che dettaglia le violenze più turpi. Mittente: il Centro studi Hansel e Gretel di Moncalieri, diventato negli anni la Santa inquisizione di supposti molestatori e pedofili. Ma le inchieste scaturite da queste segnalazioni spesso non sono servite a smascherare padri incestuosi o insegnanti perversi. Si sono trasformate piuttosto in virulente gogne giudiziarie, concluse con assoluzioni e proscioglimenti. Famiglie sgominate da un sistema adulterato. Quello che ora è finito sotto accusa a Reggio Emilia. Gli orrori di Bibbiano: figli tolti ai genitori senza apparenti motivi, pressioni psicologiche sui bambini, interessi economici latenti. Agli arresti domiciliari sono finiti proprio il fondatore di Hansel e Gretel, Claudio Foti, e la moglie, Nadia Bolognini, terapeuta della onlus specializzata in psicologia infantile.
«Gentile dottore» è l’incipit della missiva che, vent’anni fa, avvia anche l’inchiesta su Sergio. L’uomo viene denunciato dall’ex compagna per aver molestato la figlia di otto anni. La madre della bambina, preoccupata per un arrossamento ai genitali, si rivolge quindi a Foti. Un consulto che diventa un’istruttoria. Il dottore le suggerisce di partecipare allo «psicodramma», seduta collettiva con mamme e ipotetiche vittime. Una specie di teatrino per far emergere i racconti degli abusi. Gioco pericoloso e suggestivo. Ma il fine giustifica i mezzi. Sempre. Bisogna scovare gli orchi. Pazienza se la furia colpevolista travolge qualche innocente.
Dopo gli incontri con il fondatore di Hansel e Gretel, la donna rafforza la sua convinzione: violenza c’è stata. Intanto, la figlia comincia a essere seguita dall’ex moglie di Foti, Cristina Roccia: la psicoterapeuta che, nello stesso periodo, viene coinvolta nelle indagini sui «Diavoli della bassa», un altro caso di falsi abusi a Mirandola. Roccia vede la giovane quattro volte in un solo mese. Poi, assieme a Foti, firma una preoccupata relazione che manda alla procura di Torino. Diagnosi netta: «Quadro più che compatibile con una situazione di rapporti incestuosi tra padre e figlia». Certo, qualcosa non torna. La bambina nega i fatti, ma è un evidente segno «del conflitto tra ricordare e dimenticare». E anche gli incubi notturni sono «segnali tipici dei minori traumatizzati». Perfino i dissapori con la madre «sono compatibili con l’abuso sessuale». Inequivocabile. La procura, dunque, proceda. Uno schema che si ripete negli anni, da un caso all’altro. Spingendo gli investigatori a strepitosi fraintendimenti.
Foti, del resto, ha sempre avuto grande ascendente sui magistrati. È stato giudice onorario del Tribunale dei minori di Torino, dove però imperversa anche come riverito accusatore. Lo dimostra una lettera rinvenuta da Panorama tra i corposi faldoni riesumati. Il fondatore di Hansel e Gretel scrive a un pm torinese, suggerendo accorgimenti procedurali. E non si esime da formulare «osservazioni critiche» su una decisione del tribunale: «Con i servizi sociali» lamenta «eravamo rimasti intesi su un provvedimento ben diverso». Una palese e rivelatoria ingerenza.
Imbeccate, denunce, insistenze. Così Sergio, difeso da Elena Negri, finisce a processo. Viene assolto. Sentenza confermata in appello nel 2001. I giudici scrivono: «Le accuse di G. sono venute fuori dopo enormi sforzi e pressioni». Aggiunge: «Il centro Hansel e Gretel è stato il luogo in cui ha compiuto tanti incontri, ovviamente sempre mirati in un’unica direzione». Quella dell’abuso. A ogni costo.
Sospetti tramutati in incrollabili certezze. L’avvocato Negri lo chiama «il pacchetto preconfezionato». Negli anni, s’è trovata a difendere almeno una decina di uomini, trascinati nell’inferno e poi assolti. «Lo schema si ripete» sostiene il legale. «Separazione burrascosa. La madre sospetta che l’ex marito molesti la figlia. La porta quindi dagli “abusologi”. Che, dopo visite orientate e domande preconcette, compilano una relazione di fuoco da inviare in procura. E i magistrati, nel dubbio, aprono l’inchiesta».
Un frutto avvelenato. Lo stesso copione di un altro caso capitato a Torino. Un padre, Luciano, accusato d’indicibili sconcezze, avvenute durante una vacanza in montagna. Tutto campato per aria. «L’esame del colloquio registrato con la psicologa del centro Hansel e Gretel evidenzia modi d’ascolto della bambina non corretti, condizionanti e suggestivi» scrive lo psichiatra Mario Ancona, consulente della difesa. A maggio 2005 Luciano è assolto: non c’è «nessun indicatore di violenza sessuale». Nella sentenza, il collegio stigmatizza anche i metodi della specialista: «Ha sottoposto a un vero e proprio fuoco d’assedio» la minore. Definita, al contrario di quanto assicurato dagli esperti, «vivace, estroversa, priva di complessi e dotata di senso dell’umorismo».
Vent’anni di condizionamenti e segnalazioni. Nel 2012 è ancora Hansel e Gretel a marchiare con una lettera scarlatta la fronte di Veneria, educatrice di una comunità per minori di Asti con cui il centro collaborava. Stavolta i protagonisti sono Foti e l’attuale moglie, Bolognini. Coinvolti nell’indagine «Angeli e demoni» a Reggio Emilia, sono adesso ai domiciliari per falso ideologico, frode processuale e depistaggio. Sei anni fa, furono anche loro ad accusare Veneria d’aver abusato di un’adolescente problematica: ospite della struttura di Asti e paziente della Bolognini. È proprio alla terapeuta che la turbolenta ragazza riferisce d’aver subito violenze e molestie dall’educatrice, con cui aveva rapporti conflittuali. Una ripicca? Nemmeno per sogno. Hansel e Gretel è granitica: diagnosi chiara. Affiora, pure stavolta, grazie dallo «psicodramma» inscenato da Foti. Che fa emergere, tra mimo e recitazione, la supposta scena madre del sopruso: l’educatrice entra nella stanza della ragazza, tentando un approccio sessuale. E di fronte al rifiuto, le blocca con forza i polsi. Brutalità interrotta dall’ingresso di una collega. Che però, di fronte ai pm, negherà l’episodio.
Intanto, dopo la denuncia, Veneria viene licenziata dalla comunità. La sua abilitazione è a rischio. Per mantenersi fa le pulizie. Cinque anni negli inferi. Fin quando la donna, difesa dall’avvocato Aldo Mirate, viene assolta: il fatto non sussiste. Al perito nominato dal gip, la ragazza non ha confermato nessuna delle violenze denunciate da Hansel e Gretel. Non esiste «il minimo riscontro probatorio».
Già. Come nel caso di un altro, sensazionale, abbaglio. Stavolta il teatro degli orrori è una scuola media di Luserna San Giovanni, vicino Torino. «La scuola dei satanisti» la ribattezzano i giornali dell’epoca. Selvaggi accoppiamenti tra professori e ragazzi. Bidelli che costringono gli alunni a bere strani intrugli. Messe nere in un santuario. Persino un prete, che obbliga quattro studentelli a uccidere un neonato e a bere il suo sangue. Nel copione c’è di tutto. Una sceneggiatura ideata da un fantasioso adolescente, pure lui paziente della Bolognini, con la complicità di una madre condizionabile. Che, a sua volta, si affiderà a Foti. Insomma: anche in questo caso, Hansel e Gretel diventano guida e supporto dell’inchiesta.
Ad aprile 2005 finisce così in carcere un incolpevole insegnante di ginnastica: Gianfranco Cantù. Accusato dal ragazzino di abusi sessuali negli spogliatoi. Il professore nega disperato. Viene liberato solo tre mesi più tardi. Intanto il minore, dopo i colloqui con gli psicoterapeuti, arricchisce il suo racconto con episodi inverosimili: messe nere, ammazzamenti, orge. Versioni in parte poi confermate da due compagni di classe: isteria collettiva. Nascono, ancora una volta, gli orchi. «La scuola dei satanisti», appunto. La procura di Pinerolo indaga altri sei insegnanti, sospettati d’essere una setta di pedofili seguaci di Satana. La gogna dura due anni. Fino a quando, il 30 aprile 2007, il pm Vito Destito chiede l’archiviazione per Cantù, difeso dall’avvocato Francesco Gambino. «Gli altri minori coinvolti nei racconti hanno negato», scrive il magistrato. È inverosimile, poi, che fatti talmente eclatanti e turpi siano successi durante l’orario scolastico. Nessuno ha notato nulla. E non ci sono segni di abusi sessuali. Tantomeno riscontri. Niente di niente. Eppure «gli psicoterapeuti di Hansel e Gretel hanno ritenuto attendibile la narrazione» dello studente. Un dubbio poi insinuato ad altri compagni dai loro genitori: «Suggestionando inevitabilmente e, si spera, involontariamente i due ragazzi» considera il pm. Insomma, la cosiddetta «credenza assertiva». Un contagio, fomentato dai terapeuti. A marzo 2008 il tribunale di Pinerolo archivia l’indagine. I sette insegnanti non sono dei satanisti assetati di bambini. Ma solo le ennesime vittime dei fabbricanti di mostri.
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