Caso Marò, Tribunale del mare: Italia e India sospendano tutte le procedure
In sostanza, quindi, il verdetto della Corte di Amburgo respinge la richiesta italiana di misure temporanee
Stop ai procedimenti giudiziari in corso. No a misure d'urgenza a vantaggio dei due marò. Il Tribunale del mare di Amburgo ha stabilito che Italia e India dovranno "sospendere tutte le procedure" a carico di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre e "astenersi da misure che potrebbero aggravare la disputa" o "pregiudicare qualsiasi futura decisione del tribunale di arbitrato".
Il verdetto è stato emesso con 15 voti pro, tra cui quello del presidente del Tribunale, e sei contrari.
La corte di Amburgo ha pure sancito che "non considera appropriato prescrivere misure temporanee sui due marò". L'Italia aveva chiesto che Latorre, ora convalescente, potesse rimanere in Italia oltre la proroga di sei mesi concessagli per motivi di salute, e che Girone potesse rientrare dall'India, dov'è attualmente sottoposto all'obbligo di firma. Nel leggere la sentenza, il presidente ha sottolineato che il Tribunale è consapevole sia del dolore delle famiglie dei due pescatori indiani uccisi, sia delle conseguenze che le restrizioni comportano per i marò, aggiungendo che le decisioni della Corte "non devono assolutamente essere interpretate come un modo di appoggiare rivendicazioni di una delle due parti".
Commentando il verdetto, l'agente del Governo italiano di fronte al Tribunale, Francesco Azzarello, ambasciatore in Olanda, ha valutato in modo positivo lo stop alla giurisdizione indiana, ma ha pure espresso delusione perché i giudici non hanno adottato "nessuna misura sulla situazione di Girone e Latorre, ritenendo che debba occuparsene la costituenda Corte arbitrale".
Una nota della Farnesina informa che l'Italia ripresenterà la richiesta di misure provvisorie davanti alla Corte arbitrale.
Meno diplomatico il commento del ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Graziano Delrio: "L'Italia sperava diversamente", ha detto in conferenza stampa al Meeting di Rimini; la sentenza "non va nella direzione richiesta, prendiamo atto e valuteremo i passi necessari".
Non pare, quindi, prossima alla chiusura una vicenda che risale al febbraio 2012, quando i fucilieri di marina Girone e Latorre, in servizio anti-pirateria sulla nave porta-containers Enrica Lexie, spararono contro un'imbarcazione in avvicinamento, credendola un battello pirata. Invece, si trattava d'un peschereccio: due pescatori indiani furono colpiti e uccisi.
Quando la nave italiana attraccò a un porto indiano, i due marò furono arrestati per omicidio: un'accusa che, nel frattempo, fra incertezze legali d'ogni sorta, non è stata ancora formalizzata.
Dopo avere provato varie strade, Roma ha fatto ricorso all'arbitrato internazionale e, il 26 giugno, ha inviato all'India l'atto introduttivo del procedimento per la costituzione della Corte arbitrale, mentre il 21 luglio ha chiesto al Tribunale internazionale del diritto del mare, con sede ad Amburgo, misure provvisorie in attesa della decisione della Corte.
La parola al diritto
Natalino Ronzitti, professore di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e consigliere scientifico dello Iai, spiega: "Il Tribunale internazionale del diritto del mare è una giurisdizione permanente; la Corte arbitrale, prevista dall'Annesso VII alla Convenzione del diritto del mare, è una struttura che deve essere costituita all'occorrenza. La Convenzione autorizza uno Stato in causa a chiedere misure provvisorie in attesa del pronunciamento della Corte, la cui costituzione deve avvenire in tempi precostituiti, sufficientemente spediti. Ma la pronuncia definitiva non è rapida e può richiedere anche due-tre anni. E si badi bene che la Corte arbitrale non dovrà pronunciarsi sulla colpevolezza o innocenza dei due marò, ma su chi ha titolo di giurisdizione per giudicarli: Italia o India".
Per oltre tre anni - ricorda Ronzitti -, il Governo italiano ha seguito un duplice binario: da una parte si è difeso nel processo indiano, affermando l'incompetenza della giurisdizione locale, e, dall'altra, ha tentato di risolvere la questione in via diplomatica, prima con l'intervento di un inviato speciale e poi con interventi politici, dal ministero degli Esteri al presidente del Consiglio. Senza dimenticare l'intrigo sulla riconsegna dei marò venuti in Italia in licenza elettorale: prima bloccati in Italia, poi riconsegnati all'India. I team legali ad Amburgo delle due parti comprendevano giuristi ed esperti di varie nazionalità: quello italiano aveva anche avvocati indiani, mentre quello indiano non aveva esperti italiani. Ora, la procedura per una decisione del Tribunale arbitrale s'annuncia piuttosto lunga. Le parti possono, però, continuare a negoziare per trovare una soluzione reciprocamente soddisfacente - è già successo -. Uno degli avvocati di parte indiana era pronto a proporre che la Corte speciale, chiamata a giudicare in India i due marò, concludesse i lavori in quattro mesi in assenza d'opposizione italiana. "Ma tale proposta - osserva Ronzitti - è ora inaccettabile, una volta scelta l'opzione di difendersi dal processo e non nel processo"