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ANSA /Mike Palazzotto
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Casteldaccia, "spaccato" di un'Italia senza regole

Dietro la tragedia non solo il maltempo ma i difetti cronici di un intero Paese

Soffia il vento e spazza tutto a 180 chilometri l’ora, semina distruzione, morte e tanti begli editoriali, e tante articolesse sui giornali che scavano nelle scartoffie degli ultimi decenni e scovano le prove delle omissioni e dell’incuria. Se un fiume esonda e lungo il corso impetuoso travolge una casa abusiva, costruita troppo a ridosso del letto, non dev’essere la natura sul banco degli imputati e neanche l’Uomo. Ma questa Italia che non conosce la cultura della sicurezza, il rispetto delle regole, i principi basilari di una giustizia giusta (quindi rapida o quanto meno solerte), la certezza delle sanzioni e l’efficienza amministrativa, oltre che la scelta politica dell’investimento nel riassetto idrogeologico e urbanistico di una terra violentata da chi (spesso abusivamente) la occupa. Da noi italiani. Da troppi anni. La tragedia siciliana di Casteldaccia, quei 9 morti nella villetta invasa dai fanghi del Milicia, sono lo specchio di un Paese che attraversa le catastrofi senza vergogna, senza mai redimersi o correggersi, che quasi si compiace o si accontenta di ispirati e sterminati commenti alla tv, sulla carta stampata o sul web. Oh sì, tutte riflessioni giustissime, tutte denunce documentatissime. Che però lasciano il tempo, non solo meteorologico, che trovano.

Casteldaccia: 9 persone morte per l'esondazione del Milicia | vdieo

Era da quasi vent’anni che la pericolosità delle basse valli fluviali nel Palermitano era stata additata in documenti sul degrado ambientale causato dall’uomo, denunce che avrebbero dovuto imporre interventi urgenti. Che non ci sono stati. È assurto a simbolo, anni fa, il sindaco di Licata, Angelo Cambiano, promotore di una benemerita campagna di demolizione dei fabbricati abusivi. Risultato: il Consiglio comunale lo ha sfiduciato. In inglese è praticamente impossibile tradurre il concetto, non solo la parola, di “condono” degli abusivismi. Si può cancellare il debito, si può praticare una “remission”, ma non c’è modo di ”dire” che una casa abusiva resterà al suo posto a costo della vita di chi ci abita. Letteralmente: a costo della vita. Perché i 9 morti di Casteldaccia sono nient’altro che la prevedibile conseguenza della sregolatezza di un Paese dove tutto è possibile: anche violare la legge senza pagarne le conseguenze, e persistere nella violazione a dispetto di denunce nero su bianco. Perché accanto all’indifferenza (se non allo sprezzo) delle leggi e della comunità (locale e nazionale), c’è l’indicibile corollario che pochi hanno il coraggio di stigmatizzare: una giustizia amministrativa che ha tempi da elefante e non produce equità o correzione degli errori, ma oggettivo insabbiamento.
La lentezza della burocrazia e quella della magistratura possono avere effetti letali sui singoli e sulla comunità. Ci sarà una ragione per la quale su 720mila frane l’anno in tutta Europa, 600mila sono in Italia come ha ricordato qualcuno in questi giorni. Ci sarà un motivo per cui alla fine gli italiani sono quel Paese di eroi che è. Un ragazzo che cerca di salvare il fratellino, altri che si sacrificano nel tentativo di soccorrere chi rimane intrappolato dall’alluvione in un distributore di benzina, l’abnegazione mal retribuita del corpo nazionale dei vigili del fuoco, diventano la normalità in un paese che lentamente muore. Che muore della normalità disperante di un degrado a lungo tollerato. Poco si è detto di un’altra causa (oltre il vento) della strage di alberi al Nord: la scelta di monoculture che servono forse alla filiera del legno, ma non ad ancorare il paesaggio alle sue radici e fronteggiare i cataclismi. Per non dire la demolizione del corpo forestale (e un po’ anche della protezione civile). E così, l’intervento umano sulle foreste le ha trasformate indebolendole. E la fragilità del territorio riflette l’assenza non soltanto di uno Stato, ma dell’elementare (buon) senso di appartenenza a una comunità. 
Povera Patria, verrebbe da dire col titolo di una famosa canzone. O con Bertolt Brecht: “Sventurata è la terra che ha bisogno di eroi”. 

ANSA/Salvatore Monteverde
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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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