Catalogna: dopo l'indipendenza, il dialogo con Madrid
La Generalitat il 9 ottobre avvierà la procedura, ma l'unica strada è quella della trattativa politica. E poi delle urne. L'incognita sono i tempi
Quali scenari è lecito aspettarsi quando, lunedì prossimo, dopo aver dato lettura ufficiale dei risultati del referendum il Parlamento della Catalogna darà inizio alla procedura d’indipendenza?
In una sfida che sinora ha mostrato il peggio di Madrid e di Barcellona, le opzioni sono tutte aperte. Sarebbe comunque prudente non confondere l’enfasi dell’impatto mediatico con la realtà squisitamente politica dei rapporti di forza in campo.
Gli errori di Madrid e di Barcellona
Da una parte abbiamo Madrid, che sia come governo nazionale sia come Monarchia, ha sinora ignorato la “questione catalana” e si trova nella paradossale situazione di tutore della legalità, nonostante i recenti scandali per corruzione e lo storico immobilismo che sono l’esatta fotografia della sua concezione del potere.
Dall’altra abbiamo Barcellona, dove la Generalitat guidata da Carles Puigdemont si accredita come rappresentante di tutti i catalani, nonostante al referendum secessionista abbiano votato meno della metà dei 5,5 milioni di elettori aventi diritto.
Da entrambe le parti è emersa una sana dose di opportunismo tattico alla quale bisogna aggiungere una serie di errori politici clamorosi dal quale è scaturito lo stallo attuale. In termini maccheronici, il rischio principale per i contendenti è quello di "perdere la faccia". Ma vediamo gli scenari possibili.
Le prossime mosse
Lo scenario più logico è quello della trattativa politica. Puigdemont, criticando il discorso di Felipe VI, ha comunque pronunciato la parola chiave “mediazione”. Se è vero che Madrid ha risposto con dignità sferzante “prima la Catalogna rispetti la legge”, la trattativa appare la strada più logica perché entrambe le parti non debbano iniziare a pagare dazio dallo stato di crisi. Salvare le forme, insomma, e poi mettersi intorno a un tavolo.
Quanto durerà questo processo per “salvare le forme” è la vera incognita. Alla proclamazione dell’indipendenza di lunedì prossimo (l’annuncio viene dal partito di sinistra Cup) Madrid risponderà con mosse giuridiche, tra le quali lo sbocco elettorale sembra il più probabile.
La balcanizzazione del conflitto invece appare remotissima. Per troppe ragioni: l’indipendentismo catalano non è, per storia e stile, quello basco; si tratta comunque di una “rivolta” della classe media, per vocazione conciliante e non belligerante; l’Europa sostiene la pace e il dialogo tra le parti, tutto l’opposto di quel che fece per l’ex Jugoslavia.
L'esigenza del voto
Più probabile invece un’italianizzazione della crisi, nel senso che la legge elettorale spagnola è deficitaria e non consente la governabilità. Ma di urne c’è bisogno, sia perché gli interlocutori attuali hanno sinora fallito il proprio mandato di rappresentanza, sia perché i partiti tradizionali hanno bisogno di un rilancio per frenare Podemos, che in Catalogna, ad esempio, ha scalfito il monopolio dei partiti indipendentisti con un'agenda nazionale e per nulla regionale e autonomista.
Il tempo delle scorciatoie è finito. La caratura mediatica della crisi (basta parlare del Barça, per favore) ha permesso a Barcellona di conquistare - grazie ad un referendum indetto senza troppi scrupoli - i riflettori della scena politica, ma non basta a risolverla.
Salvata la faccia, Madrid e Barcellona, sanno entrambe che devono tornare a parlarsi. Ma quando?