Dopo i ballottaggi: le sfide del centrodestra "unito"
Silvio Berlusconi guarda al programma di Governo, Matteo Salvini ne fa una battaglia di leadership. Al centro, la legge elettorale. Gli equilibri tutti da conquistare tra Forza Italia e Lega
A parte Matteo Renzi, per una volta non c’è nessuno che metta in discussione il risultato delle elezioni comunali: una netta vittoria del centro-destra, una secca sconfitta per il PD, che perde dieci capoluoghi di provincia, alcuni dei quali, come Genova, vere e proprie città simbolo, mentre i Cinque Stelle al secondo turno non risultano pervenuti.
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I sismografi della politica registrano questo successo: si tratta dell’ultimo test elettorale di livello nazionale prima delle elezioni politiche. In autunno vi saranno, è vero, le regionali in Sicilia, ma la Sicilia è terra di storiche anomalie, è la terra dove Leoluca Orlando sembra il futuro e a Trapani c’è un solo candidato, perché tutti i competitori sono stati eliminati dalla magistratura.
Quindi i dati di domenica scorsa qualcosa significano, anche perchè confermano quello che innumerevoli sondaggi raccontano da mesi: il centro-destra, inteso come la somma di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia è la più grande delle tre aree politiche nelle quali il paese è diviso.
Poiché le altre due aree, PD e Movimento 5 stelle, non si possono coalizzare fra loro, il centro-destra nella maggior parte delle città vince.
Centrodestra: i problemi da superare ora
Tutto chiaro? Niente affatto, anzi proprio qui cominciano i problemi. Cosa significa “centro-destra unito”?
Anni fa, lo schieramento opposto intrattenne gli italiani con un dibattito che avrebbe appassionato i teologi di Bisanzio. Ci si interrogava se la parola centro-sinistra andasse scritta con il trattino (“centro-sinistra”) o senza trattino (“centrosinistra”).
I leader del centro-destra, bisogna dargliene atto, hanno avuto il buonsenso di evitare una discussione di questo tipo, che avrebbe provocato meritate pernacchie da parte degli elettori. Questo però non significa che abbiano la stessa visione dalla coalizione. Potrebbero trovarla, se sono saggi lo faranno, ma dire che al momento esista sarebbe quantomeno un azzardo.
Quale modello di coalizione
C’è chi parla, per esempio, di “modello Liguria”, sulla base dei brillanti risultati ottenuti dall’abile e fortunato governatore della Regione, Giovanni Toti, già presunto “delfino” di Berlusconi, che in due anni è riuscito, grazie anche alla difficoltà del PD, a conquistare non solo la Regione, ma tre capoluoghi su quattro: parliamo di città come Genova e La Spezia, nelle quali sono i più anziani possono dire di ricordare un sindaco che non fosse di sinistra.
Toti ha ottenuto questi risultati ostentando un legame di ferro con Matteo Salvini e Giorgia Meloni, fino ad ipotizzare una fusione, o almeno una federazione, dei rispettivi partiti. C’è chi immagina (lui non ha mai detto nulla del genere, per la verità ) che lo stesso Toti possa essere il candidato premier proposto da un simile schieramento, avendo l’ex direttore del TG4 – rispetto al ruspante leader leghista - più consuetudine con abiti di buon taglio e con le buone maniere.
Ovviamente far circolare queste voci non rende il governatore ligure più popolare dalle parti di Forza Italia: se ad Arcore si ostenta pazienza e disinteresse per i pettegolezzi, fra i dirigenti azzurri il nervosismo è palpabile. Dopo Alfano, Fitto, Verdini, la paura di un altro ex-delfino pronto ad accordarsi con la concorrenza è diffusa e il sospetto dilaga.
Anche perché – si fa notare – il centro-destra non ha vinto solo in Liguria (dove peraltro Forza Italia è quasi sparita, fagocitata dalle liste civiche promosse dal governatore), ha vinto moltissimo in Lombardia, ed ha ottenuto grandi successi in aree difficili, dalle regioni rosse (Emilia, Toscana, Umbria) fino all’Aquila dove si è rimontato un preoccupante svantaggio al primo turno.
All’Aquila, si sa, Berlusconi attribuisce un valore particolare, ha con il capoluogo abruzzese un rapporto quasi affettivo, considera la ricostruzione post-terremoto una delle pagine della sua attività di governo che rimarranno consegnate alla storia.
Il ruolo di Berlusconi
Berlusconi come d’abitudine si tiene fuori da queste polemiche, preferisce concentrarsi sulle cose da fare. “Gli elettori, continua a ripetere, non vogliono sapere chi sarà il leader del centro-destra, vogliono sapere come risolveremo i loro problemi”. Da qui il continuo, pressante invito da Arcore a concentrarsi sui contenuti concreti e non sulle discussioni da “addetti ai lavori” della politica.
Però il tema esiste, e rimane: il leader azzurro non fa questioni di nomi, ma non ha nessuna intenzione di imbarcarsi in uno schieramento “lepenista”. Così si perde, ripete in tutti gli incontri, si fa soltanto il gioco della sinistra. Macron non avrebbe in mano la Francia, pur avendo preso meno di 8 milioni di voti su 50 milioni di elettori francesi, se Madame Le Pen non fosse stata la sua avversaria.
E infatti non fa mistero del fatto che il centro-destra del futuro dev’essere moderato, liberale, cristiano; non perde occasione di ribadire la propria appartenenza al Partito Popolare Europeo, lo stesso della signora Merkel così invisa ai “sovranisti”. “Se la destra - ragiona Berlusconi - in Italia non è emarginata come in altri paesi europei, lo deve solo a me, al fatto che li ho inseriti in un progetto politico che può raggiungere la maggioranza degli italiani”.
Il ruolo di Salvini
Superfluo dire che Salvini soffre questa situazione: sa di non poter rimanere solo, pena l’irrilevanza, sa di non poter accrescere ancora il bacino elettorale della Lega, e sa di non essere un potenziale leader per una coalizione indisponibile ad andare al massacro sul modello francese.
In parte si potrebbe dire lo stesso di Giorgia Meloni, che però tenta di non farsi cannibalizzare dall’ingombrante alleato, e pare ci stia riuscendo, come dimostrano i risultati di questa tornata amministrativa.
Cosa può succedere
Come andrà a finire? Difficile rispondere. Molto dipenderà dalla legge elettorale. L’ideale per Berlusconi, ma forse non solo per lui, è una legge proporzionale, nella quale ogni partito conti per i voti che prende davvero (è convinto di prenderne molti più di Salvini, e i dati delle amministrative non gli danno torto): alleati sì, ma lasciando a Salvini le felpe e indossando il doppiopetto di Caraceni, più apprezzato in Europa, nei mercati finanziari, e dagli elettori moderati.