Chi è Stefano Parisi, candidato sindaco di Milano
Ha unito tutto il centrodestra, e ora ha ottime chance di salire sulla poltrona più alta di Palazzo Marino
Milano, un sabato mattina di febbraio. Un signore dall’aria distinta, cappotto blu, abito scuro, l’assenza della cravatta come unica concessione alla giornata semi-festiva, esce da una riunione di lavoro in un prestigioso palazzo del centro, e si congeda frettolosamente dai suoi accompagnatori, spiegando di avere una giornata molto impegnata.
Ad attenderlo non c’è una grossa berlina scura dotata di autista. E neppure un taxi. L’uomo estrae con grande naturalezza una tessera dal portafoglio, la applica ad un lettore, si infila alle orecchie gli auricolari del cellulare, di un coloro rosso-aranciato molto informale, e inforca una delle biciclette a nolo che il Comune di Milano, per iniziativa della Giunta Moratti, ha distribuito in vari angoli della città. I pochi passanti non notano la scena, non lo riconoscono, nessuno è incuriosito. Non sanno che il volto di quell’uomo, dal lunedì successivo, campeggerà in enormi manifesti 6x3 in tutta la città, che annunciano il candidato sindaco del centrodestra a Milano.
Stefano Parisi con la sua candidatura ha già compiuto un miracolo: dopo mesi di discussioni, trova il consenso entusiasta di tutta la coalizione di centrodestra - ma proprio tutta, alfaniani compresi - che, unita, ha ottime chances di battere il PD di Renzi.
Qual è il segreto di questo manager di sessant’anni, che sembra non avere nemici, che ha un atteggiamento tranquillo e garbato, eppure solleva entusiasmi? Ma prima di tutto, chi è Stefano Parisi?
Tra pubblico e privato
È presto detto, è un uomo che ha diviso la vita fra la pubblica amministrazione e il mondo dell’impresa privata, ricoprendo da entrambe le parti ruoli di vertice. Nel pubblico, vanta un’esperienza di parecchi anni a Palazzo Chigi, nello staff del Presidente del Consiglio, e – cosa ancora più importante – parecchi anni a Palazzo Marino, fianco a fianco con il sindaco Albertini, quello più amato dai milanesi, quello che ha trasformato il volto della città.
Ma non è mai diventato un burocrate, né per linguaggio, né per stile e mentalità. Nel privato, è stato per anni direttore generale di Confindustria, navigando con perizia delle acque tempestose dell’art. 18, e poi amministratore delegato di una delle aziende più innovative d’Italia, Fastweb. Quando ha deciso di lasciarla, intascata la liquidazione – che non doveva essere piccola – ha scelto di investire fino all’ultimo centesimo per creare una sua startup, Chili.tv, la Netflix italiana, il primo servizio italiano online di video on demand.
Chili ha dato una chance di occupazione a Milano a un bel gruppo di ragazzi fra i migliori usciti dalle nostre università, di quelli che di solito scappano all’estero per trovare un lavoro nei settori economici del futuro.
A cosa punta
Perché questo signore ora, invece di godersi il successo della sua creatura, si infila a piedi uniti nella palude Stigia della politica italiana? Idealismo, ambizione, senso civico? Stefano Parisi certamente non è un ingenuo, sa che guidare una grande città è un incarico prestigioso, ma pieno di incognite. Nella migliore delle ipotesi, il rischio è di essere bloccato dalla mancanza di risorse. Eppure, secondo le sue figlie (a proposito, ne ha due, di 28 e 26 anni, ben lontane dalla politica) quando ha ricevuto la proposta (e l’ha soppesata a lungo) gli “brillavano gli occhi”.
Significa lasciare la sua azienda, lasciare la tranquillità domestica (ha anche una moglie, una signora israeliana molto riservata e poco propensa a farsi coinvolgere nella campagna elettorale), rinunciare – fra poco - all’amata bicicletta e all’ancor più amato footing. Lui la spiega così: Milano mi ha dato tanto, e vorrei restituire qualcosa. Bella frase da comizio? Ma lui non la usa nei comizi (non ne fa ancora) l’ha detto solo a familiari ed amici.
I candidati gemelli
Parte così la curiosa sfida fra candidati gemelli, Beppe Sala e Stefano Parisi, perfetta per i titoli di giornale. In effetti alcune analogie sono curiose: entrambi hanno fatto il city manager, entrambi sono stati il più stretto collaboratore di un sindaco di centrodestra (Letizia Moratti l’uno, Gabriele Albertini l’altro), entrambi sembrano a loro agio nella grisaglia manageriale (anche se Sala recentemente ha provato a sostituirla con le magliette di Che Guevara, per dimostrare di essere di sinistra e il risultato ha fatto sorridere).
In realtà però le somiglianze finiscono qui. Parisi ha il DNA dell’imprenditore, ha lavorato con le imprese, ha rischiato in proprio. Sala è sempre stato un amministratore dei soldi altrui. Ha ottenuto buoni risultati, pare, spendendo molto, forse troppo.
Soprattutto, Sala è il simbolo del tecnocrate, Parisi non si sente un tecnico. Non un tecnico alla Mario Monti, almeno.
Certo, fra i suoi sogni c’è quello di portare nel settore pubblico le idee e i metodi del privato, obbiettivo che non è mai riuscito a nessuno, finora. Dare ai dipendenti del Comune di Milano l’orgoglio e la voglia di lavorare per la loro città, restituire loro “la voglia di andare in ufficio la mattina”.
Il suo progetto è un classico progetto liberale: ridurre il perimetro della Pubblica Amministrazione, tagliare i costi, coinvolgere le risorse private, aumentare l’efficienza, ridurre le tasse. È sensibile ai problemi della sicurezza, senza esasperazioni. Ma la sua concretezza su questi argomenti ha entusiasmato anche i consiglieri di zona leghisti, quelli più puri e duri, che nelle periferie combattono ogni giorno contro i drammi dell’immigrazione clandestina, dei campi rom, della microcriminalità.
Eppure questo signore dal morbido e garbato accento romano, uno dei tanti milanesi acquisiti che si sono innamorati della città vivendoci, non sarà affatto, se vincerà, il sindaco delle piccole cose, del giorno per giorno.
“Non sono più un tecnico, da oggi sono un politico”, come ama ripetere. Questo significa avere una visione, un sogno ambizioso, per Milano e per il centrodestra. E significa anche la cultura per realizzarlo. Per fare le cose, non per “sperimentare” come piace fare alla sinistra.