Chi ha paura di Di Battista?
Mancano meno di due mesi dal ritorno del "Che" grillino in patria e l'alleanza giallo-verde trema
Quarantacinque giorni. Tra meno di due mesi lo spauracchio politico del Governo dalle tinte carioca sarà di ritorno - caricato a pallettoni - dopo sei mesi di viaggio di formazione tra Stati Uniti e Sudamerica.
Dibba is back
"Sto tornando" ha fatto, infatti, sapere Alessandro Di Battista "Non avrei mai pensato che la battaglia mi mancasse così tanto" ha concluso a mo' di dichiarazione d'intenti per il 2019 pentastellato.
La primula rossa del movimento, dunque, è pronta a togliersi stivali di gomma e magliette slavate per riprendere giacca, cravatta e 24 ore e ricominciare a far politica attiva.
In un vecchio film il protagonista si chiedeva: "Mi si nota di più se a una festa vado o se non ci vado?"
Di Battista non ha avuto dubbi e a quella festa non ci è andato scegliendo la distanza come miglior prospettiva da cui guardare i fatti della politica nostrana e questo, a chi non ha mai perso un giro in prima linea dal 4 marzo scorso, non può che fare paura.
Perché Dibba (come viene chiamato) quando a giugno ha lasciato l'Italia per andare in America con moglie e figlio al seguito era del tutto consapevole di fare un passo indietro dalla prima linea e di girare le spalle alla neonata alleanza grillino leghista con tutte le sue imprevedibili declinazioni. E lo ha fatto per mettersi alla finestra e cercare di capire cosa sarebbe successo.
Da allora, però, il quarantenne giornalista, da bravo predatore, non ha per un secondo tolto gli occhi dall'Italia riuscendo anche a distanza a seguire le faccende nostrane e a pungolare alleati, opposizione e soprattutto la base del movimento toccando i tasti giusti.
Perché di Battista fa paura
Per questo il ritorno di Di Battista fa paura un po' a tutti. Non si tratta del ritorno al figliol prodigo dato per perduto, ma bensì del ritorno di un leader carismatico reso ancora più forte dall'esperienza del lungo viaggio tra Stati Uniti e America Latina sulle tracce di Che Guevara, dei guerriglieri centroamericani e del sub-comandante Marcos.
L'estremismo movimentista di colui che si ritiene un grillino duro e puro fa in primo luogo paura a Luigi Di Maio, l'anima democristiana del M5S. "Lo accolgo a braccia aperte" ha detto a proposito del ritorno "dell'amico Alessandro" chiedendo però anche, un po' preoccupato: "Quando avete detto che torna?"
Perché Di Maio in questi mesi ha fatto di tutto per tenere saldo il timone del politicamente corretto, del colpo al cerchio e colpo alla botte, del "Caro amico Salvini troviamo l'intesa" e non ha certo voglia di farsi scompaginare il mazzo di carte dal Kompagno Di Battista.
Eppure la capacità oratoria e il carisma naturale di Alessandro Di Battista piacciono alla pancia dei pentastellati, a coloro cui l'idea che gli incorruttibili grillini possano entrare a patti con i leghisti sembra ancora oggi un'eresia.
Del resto governare un Paese e fare gli idealisti non è la stessa cosa e al movimento fa comodo avere il politico DI Maio e l'idealista Di Battista.
Sì, ma come farli convivere? All'interno del movimento vige (fino a prova contraria) il limite di due mandati prima di essere allontanati dalla politica attiva e il vicepremier si sta già giocando il secondo giro elettorale.
Perché fa paura a Salvini
E poi? Di Battista sa che al turno successivo potrebbe toccare a lui, chissà quante volte ci avrà pensato mentre girava per il Guatemala in autobus o mentre portava il figlio nelle foreste a respirare la natura o in mezzo ai campesinos.
Di Battista è uno "sgamato", uno che ha i tempi giusti, che parla al "popolo" e che per questo si sa fare amare. E, proprio per questo fa paura anche a Matteo Salvini.
"Lo invidio - ha detto di recente Salvini a proposito di Di Battista - passare tutto questo tempo in vacanza a far nulla con moglie e figlio" una battuta al vetriolo che, però, nasconde del risentimento.
Salvini sa benissimo, infatti, che a parlare alla pancia della gente è bravo tanto lui tanto il caro Alessandro.
Il celodurismo duro e puro di stampo leghista è stato tradotto alla perfezione da Di Battista in salsa grillina. Mentre il Matteo padano faceva gavetta sui prati di Pontida e nel movimentismo giovanile Di Battista nei salotti della Roma bene imparava l'arte oratoria e con i viaggi in Sudamerica si avvicinava ai problemi reali della gente povera davvero.
Sono entrambi due urlatori, ma intelligenti, due che quando arringano la folla gli si gonfia la vena sul collo, due che guardano negli occhi l'interlocutore e lo seducono con argomenti inappuntabili.
L'errore che Salvini non dovrebbe commettere è quello di sottovalutare il presunto alleato di governo che in realtà potrebbe trasformarsi in un avversario.
Di Battista contro tutti
Perché la forza di Di Battista è il suo essere così ostinatamente contro: contro la casta, contro i compromessi, contro le mediazioni e contro la politica fatta in politichese.
Di Battista è l'anima stessa del concetto di opposizione e, proprio per questo, fa paura anche all'opposizione. Impossibile per il cerchiobottismo piddino cercare di far salire sulla barca uno come Di Battista (che piuttosto s'immolerebbe sull'altare dell'alleanza col centro destra) e da nemico uno come lui preoccupa soprattutto per la presa che ha sul grande pubblico.
Non che Di Battista abbia il peso politico o il carisma di un Che Guevara, Martin Luther King o Palmiro Togliatti, ma in questo momento politico con la fame che c'è di gente che abbia voglia andare "contro" anche uno come Di Battista che gira sì in autobus per il Guatemala, ma alloggia in resort tutto sommato potrebbe funzionare.