La Chiesa dei potenti
Da Marcinkus ad oggi le finanze del Vaticano sono al centro di movimenti ed investimenti misteriosi, di certo non verso i bisognosi
È passato molto tempo, ma la fotografia di Paul Marcinkus che gioca a golf l’ho ancora impressa nella mente. Certo, non c’è nulla di male nel colpire una pallina cercando di mandarla in buca su campi lisci come un tavolo da biliardo. Ma l’immagine di un arcivescovo con in mano la mazza invece che la pisside nella mia mente non coincide con quella del pastore di anime.
Veniva da Cicero, il sobborgo dove era nato Al Capone, e come il capo della mafia a un certo punto finì nel mirino della magistratura che, se lui non avesse goduto delle prerogative concesse a un uomo della Santa sede, probabilmente non avrebbe esitato ad arrestarlo. Marcinkus era il capo dello Ior, la banca vaticana coinvolta in mille traffici, e muovendosi come uno spregiudicato finanziere aveva intessuto affari con gente non molto raccomandabile. Gli agenti dell’Fbi indagarono a lungo su un giro di falsi titoli azionari acquistati dalla mafia, mentre quelli italiani cercarono di capire che ruolo avesse avuto l’arcivescovo nel crac del Banco Ambrosiano e nella sparizione del suo presidente, quel Roberto Calvi che poi fu ritrovato impiccato sotto il Ponte dei Frati neri a Londra.
Se ricordo Marcinkus nonostante sia morto da parecchi anni è perché, sebbene diversi papi siano passati da allora, le finanze vaticane sembrano rimaste a quei tempi, vale a dire opache. Mi hanno molto colpito alcune notizie delle scorse settimane, a cominciare da una speculazione immobiliare nel centro di Londra. Con l’obolo di San Pietro, la Segreteria di Stato ha comprato un palazzo a Chelsea, investendo altri soldi in azioni Carige, Retelit e Tas. Operazioni ad alto rischio, anche perché condotte da finanzieri spregiudicati, che si sono concluse con una perdita secca. Centinaia di milioni gettati dalla finestra, attraverso scatole cinesi e fondi d’investimento, scorribande che hanno attirato l’attenzione della magistratura vaticana la quale, dopo aver ordinato perquisizioni nella Segreteria di Stato e negli uffici dell’Antiriciclaggio, ha individuato «gravi indizi di peculato, truffa, abuso d’ufficio, riciclaggio e autoriciclaggio», mentre i revisori della Santa sede hanno ipotizzato «gravissimi reati, quali l’appropriazione indebita, la corruzione e il favoreggiamento» a carico di cinque funzionari della Segreteria di Stato e dell’Autorità antiriciclaggio del Vaticano: quattro laici e un monsignore, poi sospesi dal servizio.
Ma non c’è solo lo strano affare di Sloane Street, a Chelsea. Ne esiste uno altrettanto oscuro che ha per teatro un altro Paese dove è facile occultare i soldi. Parlo dell’investimento che il Vaticano ha realizzato in un fondo con base a La Valletta, sull’isola di Malta. In questo caso i capitali investiti non sono centinaia di milioni, ma decine, tuttavia il rischio pare lo stesso. Il Centurion Global Fund, fondo gestito da un italiano residente in Svizzera, un certo Enrico Crasso con un passato in Credit Suisse, ha investito i soldi del Papa in una serie di operazioni assai discutibili. Qualche esempio? Un milione è servito a finanziare la produzione di Rocketman, il film sulla vita di Elton John: non proprio un testimonial del messaggio evangelico. Oltre tre milioni sono stati dirottati alla produzione di un action film, occupandosi questa volta di alieni invece che di star. Sei milioni sono invece finiti nelle casse di Italia Indipendent, la società fondata da Lapo Elkann per produrre i suoi occhiali. Dieci milioni sono stati messi nella New Deal, comprando il 14 per cento di una finanziaria che ha in pancia l’11,7 per cento di Giochi Preziosi. L’elenco potrebbe continuare, passando dagli immobili alle start-up, per finire alle acque minerali, ma la sostanza non cambierebbe, perché la sensazione è che tra le tante operazioni non ci sia alcun collegamento, se non quello dell’opacità. Anche queste speculazioni, peraltro, hanno collezionato solo perdite.
Certo, qui non c’è un banchiere che scappa con la cassa e viene trovato morto, né si parla di mafia o di altro. Ma il comune denominatore degli scandali finanziari degli anni Ottanta e di quelli di oggi è lo stesso. Soldi che dovrebbero servire per aiutare i poveri finiscono, grazie ad arcivescovi e cardinali che si improvvisano speculatori, nelle mani di ricchi finanzieri, che con l’obolo di San Pietro diventano ancora più ricchi. Bergoglio, quando fu eletto Papa, preferì le stanze di Santa Marta a quelle dorate della residenza ufficiale. Fu un messaggio di povertà, un invito a spogliarsi del superfluo. A distanza di sei anni non si può dire che il messaggio sia stato raccolto. Quasi quarant’anni fa Marcinkus si fece beccare con la mazza in mano. Oggi i cardinali si fanno cogliere con in mano la mazzetta. Dalla Chiesa dei poveri a quella dei potenti. Di Cristo neanche l’ombra.
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