Ci a Xi JInping Congresso comunista
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Cina: esperimenti di repressione totale

Nella Nuova Era di Xi Jinping non c'é spazio ne' per la libertà individuale ne' per il dissenso

Cosa sta succedendo in Cina? Interviste "pericolose" cancellate o, addirittura, tagliate in diretta. Pressioni sempre più forti sugli accademici per convincerli dell'opportunità di smettere di criticare la Cina. Divieto formale per i bambini di partecipare a centri estivi "a sfondo religioso" non graditi al regime, e addirittura attivisti rinchiusi senza processo in ospedali psichiatrici e campi di rieducazione segreti.

La Cina sta tornando indietro

E' l'unica certezza che abbiamo: la Cina sta tornando pericolosamente, velocemente, tragicamente indietro. E quando si dice che la Cina torna indietro non si fa di certo riferimento agli anni '80 e '90, che, col senno di poi, hanno rappresentato forse il periodo più libero e vivace della storia della Repubblica popolare. Tornare indietro, oggi, significa guardare ai momenti più bui di una dittatura crudele che si è guadagnata rispetto ed obbedienza disseminando il terrore.

Il falso mito di una Cina democratica

"Prima o poi l'economia cinese rallenterà, e a quel punto anche la Cina avrà bisogno di un governo legittimo. Quando '900 milioni di contadini cinesi avranno un telefono cellulare e inizieranno a chiamarsi e a parlarsi tra loro, allora finalmente anche la Cina diventerà un paese più libero e aperto". Thomas Friedman scrisse questo sulle colonne del New York Times nel 1998. E all'epoca Friednam non era certamente l'unico a pensare che riforme economiche e progressiva integrazione nel mercato internazionale avrebbero trasformato quello di Pechino in un regime sempre più democratico.

E' invece è successo l'esatto contrario: il Partito è riuscito a trasformare il paese nella seconda economia più importante del mondo, ha 600 milioni di persone che possiedono un telefono cellulare e 750 milioni che usano regolarmente internet. Eppure, l' "inevitabile tsunami di liberalizzazione politica" non è mai arrivato. Anzi, la Cina diventa ogni giorno più autoritaria.

La demolizione dello studio di Ai Weiwei

Sui giornali arrivano i casi più eclatanti, come quello della demolizione dello studio dell'artista, attivista, dissidente Ai Weiwei, iniziata giusto un paio di giorni fa a Pechino. L'artista ha lasciato la Cina tre anni fa, nel 2015, subito dopo aver ricevuto il passaporto che gli era stato confiscato dal governo cinese nel 2011, quando Ai Weiwei trascorse 81 giorni in prigione in occasione di un altro giro di vite contro tutte le voci critiche contro il regime.

Ai Weiwei ha assistito alla demolizione del suo studio online. E' stato informato dai suoi collaboratori rimasti in Cina, non dalle autorità. Loro non avvertono mai. Non è nel loro stile. Loro agiscono, senza lasciare spazio per i commenti e soprattutto per le critiche. Che nella "Nuova Era" di Xi Jinping sono diventate inammissibili come lo erano nell'epoca di Mao Zedong.

Censura e autocensura

Quello che invece i giornali non raccontano è che la Cina ha imposto un livello di censura che per quanto paradossale possa sembrare non ha precedenti. Non si può fare più nulla che possa più o meno velatamente infastidire il Partito. Ai bambini tibetani è stato proibito di frequentare attività a sfondo religioso durante le vacanze scolastiche per evitare "contaminazioni". Del resto, dopo lo sforzo fatto per "indottrinarli" nelle scuole statali, meglio non rischiare di far fare loro "passi indietro" durante le vacanze.

I sistemi VPN che fino a ieri hanno permesso a milioni di cinesi di scavalcare il muro della censura sono diventati illegali a tutti i livelli, e i controlli per scovare chi cerca di infrangere le regole vengono fatti in tutto il paese. Nello Xinjiang le moschee (le poche ormai autorizzate), sono state costrette a barattare i loro classici tetti a cipolla con sgargianti pagode, e tante sventolano addirittura la bandiera della Repubblica popolare. Giusto per non far dimenticare a chi le frequenta dove si trova e chi comanda. Ma quel che è peggio è che sono sempre di più anche i giornalisti e gli accademici stranieri che, pur di continuare a lavorare in Cina, hanno spostato i rispettivi interessi su temi meno sgraditi al regime. Autocensurandosi.

Ospedali psichiatrici e trasmissioni interrotte

Questo sistema di censura e autocensura, però, non basta a Pechino. Così come non bastano le nuove scuole create per "instillare nella mente e nei cuori di giovani studenti e funzionari politici i veri valori della Cina", quelli marxisti, quelli che definiscono oggi il "Pensiero di Xi". Ciò che è importante per la Cina di oggi è far passare il messaggio che il dissenso è sbagliato. Inaccettabile. Impuro. E così la ragazzina che si permette di gettare inchiostro nero sul volto del Presidente riprodotto in un poster di propaganda non solo viene arrestata, ma viene spedita in un ospedale psichiatrico per essere "curata". Da quando c’è Xi Jinping al potere nessuno può permettersi di criticare il suo operato e il suo paese. Al commentatore (cinese) che osa su una rete estera di contestare il suo paese viene tagliata la diretta. Chi esprime opinioni anche solo leggermente divergenti da ciò che è accettabile non solo viene denunciato, ma spedito in un campo di rieducazione.

Dove va la Cina?

Stiamo ancora aspettando la conferma dell'interesse cinese a conquistare quella parte di mondo che le interessa per intervenire a boccare questa pericolosissima involuzione o abbiamo già gettato la spugna perché abbiamo capito che con la Cina non si contratta? Rispondere a questa domanda è impossibile, ma lo sarà anche trovare fra qualche tempo delle giustificazioni nella retorica del "non avremmo mai immaginato la situazione sarebbe degenerata in questo modo". Le sfumature della Nuova Era di Xi Jinping sono già fin troppo definite, e sempre più lontane dai valori e dai principi al centro delle società occidentali.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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