Come Carlo Calenda potrebbe diventare il Macron italiano
Può affermarsi solo se uno dei due attori non populisti è disponibile a dare spazio a un uomo fuori dagli schemi, di rottura della tradizione
E se fosse lui il Macron italiano? Quando se lo sente dire Carlo Calenda si schermisce anche se il parallelo lo stuzzica. È giovane abbastanza (ha 44 anni) e sufficientemente attrezzato, fa parte di un governo guidato dalla sinistra, ma è un moderato trasversale, esattamente come il presidente francese; è preparato e determinato, ha una gran passione per la politica.
Anche se con Parigi ha incrociato le armi più volte, dai cantieri navali di St. Nazaire a Telecom Italia, in fondo è il più francese tra gli italiani ai posti di comando. E il ministro per lo sviluppo lo ha dimostrato in più occasioni.
La più clamorosa è senza dubbio la difesa dei lavoratori dell’Ilva contro il tagli all’occupazione e ai salari previsti dalla ArcelorMittal il colosso siderurgico indiano che ha preso in affitto le acciaierie di Taranto e di Genova Cornigliano, insieme al gruppo Marcegaglia.
"Il piano è irricevibile", ha dichiarato il ministro che ha fatto saltare l’incontro previsto. I top manager della multinazionale si sono detti stupiti, ma lo sarebbero stati molto meno se avessero seguito più da vicino Calenda.
Figlio della regista Cristina Comencini e di un economista, Fabio (a sua volta discendente da un diplomatico e nobile partenopeo anche lui chiamato Carlo), si è formato nella créme pariolina (come viene chiamata a Roma perché ama abitare nel quartiere Parioli), ma ha accumulato una lunga esperienza à coté dell’industria (il suo mentore è Luca di Montezemolo che nel 1998 lo ha portato alla Ferrari e poi nella Ntv la compagnia ferroviaria privata proprietaria di Italo).
È arrivato al Mise (Ministero dello sviluppo economico) nel 2013 in qualità di viceministro scelto da Enrico Letta; è sopravvissuto alla caduta di Matteo Renzi che lo aveva inviato a Bruxelles per alzare la voce, violando la prassi che ha sempre affidato il posto a un diplomatico di professione; si è consolidato nel governo guidato da Paolo Gentiloni ma solo ora sta emergendo come una personalità di spicco, attivista e interventista, in un gabinetto che ha poche figure forti.
Appena nominato, lo avevano chiamato Calenda Cartago, finora non ha sparso sale, semmai ha messo pepe nel palazzo di via Veneto progettato da Marcello Piacentini.
UN MINISTERO STRATEGICO
Un cambiamento culturale non solo organizzativo, a cominciare dalla funzione stessa del Mise: non più ospedale della crisi anche se è stato invaso dalle vertenze (Alcoa, Natuzzi, Almaviva, Novelli, Isotta Fraschini, Cementir, Agfa Graphics, sono solo alcuni nomi eccellenti di questa Spoon River industriale), ma centro strategico di una politica industriale basata sulla "difesa dell’industria italiana piuttosto che dell’italianità", come ha spiegato lo stesso ministro.
INDUSTRIA 4.0
Il suo fiore all’occhiello si chiama Industria 4.0. Nella legge di bilancio 2017, il governo ha varato un piano triennale di incentivi fiscali automatici per 20 milioni di euro.
Le imprese potranno ammortizzare dal 140 al 250% gli investimenti informatici e beneficiare di un credito d’imposta del 50% per le spese in ricerca e sviluppo. Gli effetti sono stati positivi, mese dopo mese l’Istat ha registrato un aumento degli investimenti privati che per anni sono rimasti fermi dopo il doppio crollo del 2009 e del 2011.
I CANTIERI NAVALI
La questione più spinosa per la sua rilevanza strategica e le implicazioni politiche internazionali, riguarda il voltafaccia del governo francese sulla acquisizione dei cantieri navali Stx da parte di Fincantieri. Calenda si è opposto vantando le ragioni del mercato, poi ha accettato la politique d’abord praticata da Macron e ha minimizzato le perdite con un compromesso che lascia il comando agli italiani per 12 anni sia pur ricorrendo a un escamotage da banca d’affari: lo stato francese presta l’un per cento delle azioni.
VIVENDI-TELECOM ITALIA
L’altro fronte transalpino è ancora aperto e investe il comando di Telecom Italia. Il gruppo Vivendi controllato da Vincent Bolloré, è il principale azionista con il 23,9% e come tale ha collocato al vertice i suoi uomini (il presidente Arnaud de Puyfontaine è anche presidente di Vivendi da dove proviene l’attuale capo azienda, l’israeliano Amos Genish).
Tuttavia i francesi rifiutano di ammettere di esercitare una influenza dominante anche per non accollarsi pro quota i debiti del gruppo telefonico. A questo punto, il governo italiano ha evocato l’esercizio del cosiddetto golden power per sterilizzare il potere dei francesi.
Calenda è un fiero assertore di questa mossa che ha lasciato incerto Gentiloni. Nel frattempo la palla è passata a Parigi, alla commissione per il controllo sulla borsa che dovrà dare il proprio parere, mentre la Consob ha giudicato la partecipazione di Vivendi “un controllo di fatto”.
ALITALIA
Un’altra patata bollente è l’Alitalia.
Lunedì 16 ottobre si apriranno le buste dei candidati ad acquisire la compagnia. Calenda ha strapazzato la cattiva gestione di Etihad (nonostante alla presidenza ci fosse Montezemolo, il quale ha replicato stizzito), poi ha accompagnato l’amministrazione controllata. Ci sarà ancora tempo fino ai primi di novembre per migliorare le offerte, ma chiunque prevalga dovrà prevedere tagli dolorosi. Si profila una nuova emergenza occupazione altrettanto spinosa come quella del gruppo siderurgico, che segnerà anche la campagna elettorale.
C’è chi teme che l’Alitalia resti ancora a lungo sul groppone del governo e dei contribuenti. Mentre la piccola pattuglia liberista chiama la linea del ministro "un protezionismo dorato", come ha scritto sul FoglioCarlo Alberto Carnevale Maffé, docente alla Bocconi.
MODERATO, IN CERCA DI IDENTITÀ
Ma Calenda ha bisogno di assumere quella identità chiara che ancora gli manca. Un tentativo di far nascere un nucleo politico moderato né di destra né di sinistra, con Italia Futura di Montezemolo si è dissolto come neve al sole nel 2009. Poi è stato vicino a Scelta civica di Mario Monti. E adesso?
IL SISTEMA POLITICO ITALIANO
Il sistema politico italiano è ben diverso da quello francese e non solo per la legge elettorale. Nonostante i partiti si siano indeboliti, il Pd non appare sull’orlo del collasso come il Partito socialista, mentre la destra moderata si sta riorganizzando attorno a Silvio Berlusconi che non ha fatto certo la fine di Nicolas Sarkozy né di François Fillon. Inoltre, è emerso un terzo partito come il Movimento 5 Stelle più trasversale del Front Nationale di Marine Le Pen.
Per una operazione alla Macron non c’è spazio oggi come oggi, a meno che non sia una delle due forze anti-populiste a lanciare nell’arena una figura nuova, fuori dagli schemi tradizionali. Sempre che gli elettori vogliano un uomo di rottura, un innovatore e non un rassicurante mediatore. En marche, dunque, ma verso dove?
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