Coop friulane, lo scandalo coperto
La Operaie di Trieste e la Carnica di Udine sono finite in rovina per una gestione "allegra" su cui ora indaga la magistratura (anche perché non l’ha fatto la regione). Ma le cronache nazionali non ne parlano.
di Carmelo Abbate e Oscar Puntel
Le voci giravano da oltre un anno tra assemblee, riunioni degli organi direttivi, soffiate sui bilanci. C’è chi addirittura parla di lettere ufficiali recapitate negli uffici del governatore della Regione Friuli-Venezia Giulia. Eppure, adesso che la bomba è scoppiata, viene fuori che la situazione contabile dei due grandi colossi storici del mondo cooperativo, la Coop Operaie e la Coop Carnica, era a conoscenza di tutti meno che dell’organo politico legalmente responsabile della vigilanza, ovvero la giunta regionale guidata da Debora Serracchiani, vicesegretario nazionale del Pd.
Che proprio una legge regionale, la numero 27 del 3 dicembre 2007, stabilisce abbia "compiti di controllo e di vigilanza" sulle cooperative. Così invece non è stato e ora si cerca di raccogliere i cocci, mentre migliaia di risparmiatori, artigiani, commercianti friulani e veneti passeranno un Natale a dir poco amaro. Per la Coop Operaie la Procura di Trieste ha appena chiesto il fallimento, dopo aver preso atto di un buco da 37 milioni di euro che lascia 600 dipendenti con il fiato sospeso e 17 mila soci con il cerino in mano. Mille tra di loro sono pronti a chiedere un risarcimento alla regione, mentre altri hanno allo studio una class action nei confronti della Lega coop, alla quale potrebbe unirsi anche il Comune di Trieste.
L’inchiesta, condotta dai pm triestini Federico Frezza e Matteo Tripani (e che i giornali nazionali hanno finora ignorato o quasi), vede indagato per falso in bilancio l’ex presidente Livio Marchetti, in carica per un decennio prima di essere spodestato dalla magistratura. Nel mirino degli inquirenti è finita una serie di operazioni immobiliari infragruppo, condotte (scrivono) per «gonfiare il patrimonio netto e rientrare solo fittiziamente nei parametri per il pre-stito sociale». In sostanza, attraverso questo trucco si sarebbero messi a bilancio come plusvalenze 15 milioni di vendite di immobili effettuate a società partecipate interamente da Coop Operaie. Un’operazione di maquillage finanziario che, mentre le norme sul prestito sociale vietano possa superare di tre volte il patrimonio netto, avrebbe permesso di raccogliere sempre più soldi dei risparmiatori, che hanno investito un importo medio di 6 mila euro.
Un po’ meno degli oltre 10 mila soci di Coop Carnica, 3 mila dei quali sono incagliati per una cifra media di 10 mila euro a testa. In questo caso si tratta soprattutto di anziani, gente di montagna che percepiva la cooperativa come ente robusto e sicuro. Immagine rinforzata anche dalla capillare diffusione dei negozi con il marchio CoopCa sul territorio: 41 punti vendita tra supermercati, ipermercati, spacci e discount sparsi tra Udine, Pordenone, Trieste, Padova, Treviso, Venezia, Vicenza. Circa 3 mila soci sono titolari di un libretto di deposito, per un importo complessivo di 30 milioni. E sono stati proprio loro, dopo le brutte notizie sul fronte della Coop Operaie, a battere cassa per recuperare i risparmi, facendo così emergere il bluff dei conti sociali dove la liquidità era stata prosciugata. Anche per colpa di un’operazione da 20 milioni per la costruzione di un nuovo centro faraonico di distribuzione, che ha dissanguato le casse sociali e che tiene con il fiato sospeso anche la Banca di Cividale, che teme di perdere i soldi dati in prestito. Morale? La cooperativa Carnica, nata nel 1906, ha dovuto chiedere il concordato preventivo, subito accordato dal Tribunale di Udine, con l’effetto immediato di congelare 30 milioni di risparmi.
Nel frattempo è cambiata la governance: da pochi mesi si è insediato Ermanno Collinassi, nuovo presidente del consiglio d’amministrazione al posto di Giacomo Cortiula, per 23 anni in quel ruolo. I risparmiatori inferociti, che più volte hanno protestato per strada, lo accostano a Francesco Schettino, colpevole di aver abbandonato la barca al primo scricchiolio. Che succede a questo punto? Quali sono le prospettive? I destini delle due coop, allineati nella friulane scandalo difficoltà, torneranno a dividersi. Per la Operaie l’amministratore giudiziario Maurizio Consoli ha studiato un piano di salvataggio con l’intervento di Coop Nordest che acquisterebbe per 70-80 milioni il centro commerciale Torri d’Europa sul quale vanta un diritto di prelazione. Per i soci le notizie non sono buone: il prestito sociale non è garantito fino a 100 mila euro, come per i depositi bancari, ma per un importo pari al 30 per cento di quanto versato, grazie a una fideiussione bancaria. Per quanto riguarda la Coop Carnica, invece, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha nominato due «saggi» che stanno cercando di ricostruirne lo stato patrimoniale ed economico. Poi si passerà al piano di salvataggio, per il quale il tribunale ha dato tempo fino a metà gennaio. Si profilano scelte dolorose, cessioni di punti vendita, e si parla di un interessamento della catena Despar. Una sorta di ultimo avviso di abbandonare la nave, dopo tanti segnali di allarme rimasti inascoltati. Peccato che alla capitaneria di porto della giunta regionale qualcuno dormiva.