Cooperante italiana rapita: i precedenti (e i riscatti pagati)
Silvia Costanza Romano è stata sequestrata come Greta Ramelli, Vanessa Marzullo, Simona Pari e Simona Torretta e altre
“Siamo pronti a trattare”. Sarebbe questa la posizione dell’Italia, mentre ancora non ci sono notizie di Silvia Costanza Romano, la 23enne cooperante originaria di Milano, rapita il 20 novembre nella contea di Kifili, in Kenya, a circa 80 km da Malindi. Il timore è che la massiccia presenza di forze dell’ordine keniote (ed esercito) possa spaventare i sequestratori, facendo loro commettere un gesto estremo. Le trattative in questi casi sono estremamente delicate, come dimostrano i casi di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due ragazze italiane rapite in Siria nel 2015, e poi rilasciate dietro pagamento di un riscatto, mai ufficializzato dalla Farnesina e dalle autorità italiane. Anche nel caso delle “due Simone” (Simona Pari e Simona Torretta, sequestrate nel 2004 in Iraq) non si parlò esplicitamente di riscatto per la liberazione. Nell’elenco delle donne nostre connazionali rapite all’estero ci sono anche Rossella Urru, Clementina Cantoni, Jolanda Occhipinti, ma anche della giornalista Giuliana Sgrena, nella cui operazione di liberazione perse la vita il funzionario del SISMI (i servizi segreti militari) Nicola Calipari.
2018, Silvia Costanza Romano
Originaria di Milano, la 23enne ha studiato presso la Unimed CIELS del capoluogo lombardo, ha lavorato come istruttrice di ginnastica presso la S.G. Pro Patria, sempre a Milano. Come cooperante lavorava per Africa Milele Onlus, con sede a Fano nelle Marche, occupandosi di progetti di sostegno a favore di bambini in Kenya. E’ stata prelevata il 20 novembre da un commando armato nella villaggio di Chakama, nel sud est del Paese.
In zona proseguono le ricerche della giovane. Droni sorvolano la foresta adiacente al villaggio dove la cooperante era sola, dopo la partenza di altri cooperanti e in attesa dell’arrivo di altri connazionali. Si teme che sia stata rapita da criminali locali, ma non si esclude la mano di Al Shabaab, organizzazione fondamentalista islamica già attiva anche in altre zone dell’Africa e responsabile di precedenti rapimenti.
La Farnesina e l’intelligence mantengono il massimo riserbo, ma non si esclude che si voglia avviare un negoziato con i sequestratori, escludendo un blitz armato.
2014, Greta Ramelli e Vanessa Marzullo
Dall’Africa alla Siria, è qui che vennero rapite Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, nel 2014. Era la notte tra il 31 luglio e il 1° agosto quando le due ragazze, entrambe ventenni, furono prelevate ad Aleppo. Il rilascio avvenne il 15 gennaio del 2015, dopo una lunga trattativa che coinvolse il Fronte di al-Nusra, legato ad Al Qaeda. Il dibattito sulla loro liberazione fu lungo e costellato di polemiche. Il pagamento di un riscatto venne come sempre smentito dal Governo italiano nella persona dell’allora ministro degli Esteri, Gentiloni, che parlò di notizia “priva di fondamento”. Ma fonti giudiziarie siriane parlarono apertamente di 11 milioni di euro. Il "tribunale islamico" del Movimento Nureddin Zenki, una delle milizie che sarebbero state coinvolte nel rapimento, nel 2015 ha condannato Hussam Atrash, indicato come uno dei “signori della guerra” locali, capo del gruppo Ansar al Islam e coinvolto nel negoziato per la liberazione. Il reato sarebbe consistito proprio nell’aver trattenuto circa metà del riscatto. I restanti 7 milioni e mezzo - affermarono fonti di Atareb interpellate all’epoca dall'ANSA telefonicamente - sarebbero stati divisi tra i restanti leader islamisti del posto.
2011, Rossella Urru: dal sequestro al matrimonio
La cooperante italiana del Cisp in Algeria, è stata vittima di un sequestro a 29 anni nel Paese africano con altri due colleghi spagnoli (Enric Gonyalons e Ainhoa Fernandez) la notte tra sabato 22 e domenica 23 ottobre 2011. Si trovava nel campo profughi di Hassi Raduni, nel deserto algerino sud occidentale. Originaria della Sardegna, laureata in Cooperazione internazionale a Ravenna, al momento del sequestro lavorava a un progetto umanitario per il Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli.
Del suo rapimento si era avuta notizia solo un mese e mezzo dopo i fatti, per evitare polemiche e permettere di avviare negoziati per la liberazione, avvenuta il 18 luglio del 2012 in Mali. Per il rilascio dei tre ostaggi i rapitori avevano chiesto 30 milioni di euro, ma il governo italiano non ha mai parlato di pagamento.
Dopo i 270 giorni di prigionia e il ritorno in Italia, Rossella Urru si è sposata con Enric, con una cerimonia celebrata a Samugheo, in provincia di Oristano. Il loro amore pare sia nato proprio in quella circostanza.
2011, Maria Sandra Mariani
In questo caso ad essere rapita non fu una giovane cooperante, bensì una turista di 53 anni, Maria Sandra Mariani, originaria di Firenze, catturata nel sud dell'Algeria nel febbraio del 2011. Il suo è stato il sequestro più lungo: venne rilasciata ad aprile 2012. Suo padre, intervistato da Panorama.it, si disse favorevole al pagamento di un riscatto e lasciò intendere che la Farnesina all’epoca avesse operato in tal senso, nonostante le dichiarazioni contrarie del ministero degli Esteri.
2008, Jolanda Occhipinti
L’infermiera di Ragusa, in Sicilia, lavorava come cooperante della ong Cins e venne rapita il 21 maggio 2008 a 65 chilometri a sud di Mogadiscio, in Somalia, insieme a Giuliano Paganini, agronomo di Pistoia, in Toscana. Nel loro caso le modalità di rilascio, dopo 76 giorni, sono rimaste ancora più avvolte nel mistero rispetto a casi analoghi, esattamente come l’eventuale pagamento di riscatto. Dieci anni fa si parlò di 700 mila dollari, somma fatta trapelare da alcune fonti somale. Ma il Governo e la Farnesina smentirono, confermando una linea di gestione dei sequestri improntata al massimo riserbo. Altre informazioni, invece, indicarono in 100mila dollari la somma pattuita per la liberazione di Jolanda Occhipinti e del collega, alla sarebbe seguita la promessa di un’altra tranche, dopo la liberazione. In questo caso l’età dei due rapiti era superiore rispetto alla media: 51 anni lei, 66 lui.
2005, Clementina Cantoni
Si tratta in questo caso nuovamente di una cooperante, rapita a Kabul, in Afghanistan, il 16 maggio 2005 mentre si reca a una lezione di yoga. L’allora 32 enne, prestava servizio presso Care International. La donna, secondo quanto riferito inizialmente dall'ambasciatore Sequi, sarebbe a bordo di un'auto insieme ad altre due persone (l'autista ed un occidentale), quando un'altra vettura avrebbe bloccato l'auto su cui si trovava la cooperante, prelevandola. La donna sembra stesse per rientrare in Italia dopo due anni di lavoro in Afghanistan. Il suo rilascio avvenne meno di un mese dopo, ma questa volta senza polemiche. Per la Cantoni non sono organizzate manifestazioni di piazza e la famiglia chiese riserbo. Secondo la versione ufficiale la liberazione fu possibile grazie a uno “scambio”, con la madre del rapitore, ma il governo afgano ha sempre negato questa ipotesi, respingendo al mittente l’idea di aver trattato per la fine del sequestro.
2005, Giuliana Sgrena e la morte di Nicola Calipari
In questo caso non si è trattato di una cooperante. La giornalista del Manifesto venne rapita davanti all'Università di Baghdad il 4 febbraio 2005 e rilasciata un mese dopo, ma le polemiche furono roventi come nei casi precedenti e successivi. Nell’operazione di liberazione, infatti, morì l'agente dei servizi segreti militari Nicola Calipari, che venne raggiunto da alcuni colpi di pistola in auto, sulla via dell'aeroporto di Baghdad, mentre faceva scudo alla reporter. In quel caso si ipotizzò anche il pagamento di 6 milioni di dollari. La discussione successiva alla liberazione riguardò anche il libro Il mese più lungo (Marsilio, 2015) dell'ex direttore del Manifesto, Gabriele Polo, nel quale la vedova Rosa Calipari, poi deputata Pd, parlò di una direzione del Sismi “ambigua che agiva machiavellicamente su due linee strategiche opposte e alla fine contrapposte, un gioco che costerà la vita a Nicola”. Il riferimento era alla linea della trattativa, portata avanti da Calipari stesso ma osteggiata dagli Usa, e quella del blitz, preferito da Washington e sostenuto Marco Mancini, del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza.
2004, Le “due Simone”
Simona Pari, di Rimini, e Simona Torretta, di Roma, entrambe 29enni, furono sequestrate negli Uffici della onlus “Un Ponte per…” a Baghdad il 7 settembre del 2004. L’allora premier Berlusconi attivò una task force e inviò in Iraq il Sottosegretario agli Esteri, Margherita Boniver, per condurre una trattativa per la liberazione. Seguirono giorni di notizie e smentite sullo stato in cui si sarebbero trovate le giovani. Il rilascio avvenne tre settimane dopo grazie anche al contributo di Maurizio Scelli, avvocato ed ex Commissario Straordinario della Croce Rossa Italiana, oltre che dei servizi segreti americani (che fecero sapere di avere intercettato la voce di una delle due italiane attraverso un sistema di controllo satellitare). Il direttore del quotidiano kuwaitiano Al-Rai Al-Amn, affermò anche la liberazione sarebbe avvenuta con certezza perché il riscatto chiesto era stato pagato: si parlò di circa mezzo milione di dollari. Il Times di Londra ipotizzò invece un riscatto da cinque milioni di dollari.
Per Bagdad partì anche una delegazione dell’Ucoii, l’Unione delle Comunità islamiche italiane, Roberto Amza Piccardo. Il 28 settembre le ragazze tornarono in libertà, ma le polemiche già roventi divamparono ancora di più. Le due giovani, infatti, non ringraziarono né lo Stato italiano né la Croce Rossa, che si erano spesi attivamente per il rilascio. Si fecero fotografare con un Corano in mano, regalato loro dai rapitori. Il quotidiano Libero le definì le "Vispe Terese" "che beatificano i terroristi e dicono: il nostro posto è a Baghdad. Tanto se le ribeccano paghiamo noi”.