Corea del Nord: come evitare la guerra con gli Usa
Trump deve diventare più razionale e pragmatico, cercare un dialogo con la Cina e cancellare le esercitazioni militari con la Corea del Sud
"L'arsenale nucleare e la rinnovata capacità missilistica della Corea del Nord rappresentano una seria minaccia per la sicurezza americana. Eppure, muovendosi con cautela Washington potrebbe riuscire ad evitare la crisi". Di fronte a un'escalation di tensioni che appare ogni giorno più incontrollabile, Susan Rice, già Ambasciatrice americana all'Onu (2009-2013) e consigliere per la sicurezza nazionale (2013-2017) commenta sul New York Times la situazione sulla Penisola coreana usando toni più costruttivi.
Gli errori di Donald Trump
Il punto di vista di Susan Rice certamente si basa sull'esperienza personale del diplomatico statunitense che per anni si è dovuta fronteggiare col problema della Corea del Nord. Dal suo punto di vista la situazione, oggi, sarebbe degenerata per colpa di Donald Trump e della sua incapacità di gestire il confronto.
Secondo Rice la responsabilità di Trump sarebbe stata quella di permettere a Kim di iniziare una guerra di parole che potrebbe facilmente degenerare in conflitto aperto. L'escalation di dichiarazioni violente è sotto gli occhi di tutti: siamo partiti da un "Non c'è maggior errore per gli Stati Uniti che credere di essere al sicuro oltre oceano" per arrivare a "queste misure [le sanzioni approvate dall'Onu a inizio agosto, ndr] sono un odioso complotto degli Stati Uniti per isolare e soffocare Pyongyang" e la nostra "vendetta sarà mille volte più grande". Minacce esplicite cui Trump ha risposto tornando all'attacco, e paventando "fuoco e fiamme" per chi si permetterà di continuare a provocare l'America ipotizzando di colpirla con un attacco nucleare. Parole che, naturalmente, non hanno spaventato Kim Jong-un, che nel dichiararsi pronto a "scatenare un fuoco avvolgente da cui nessuno uscirà vivo" ha anche reso noto i dettagli dell' "ormai prossimo" attacco su Guam.
Lo spettro di una guerra nucleare
A forza di illustrare scenari sempre più apocalittici, sostiene Rice, il rischio che qualcosa vada storto e ci si ritrovi a combattere una guerra vera aumenta. Non solo, secondo il doplomatico statunitense, Kim Jong-un non è abituato ad interagire in questo modo con leader stranieri, situazione che porrebbe Trump in una posizione ancora più delicata: qualora il suo messaggio venisse sottovalutato, l'America perderebbe moltissimo sul piano della credibilità strategica, ma se lo stesso messaggio venisse interpretato alla lettera, Kim potrebbe esserne spaventato al punto da iniziare una guerra per difendersi dagli Stati Uniti.
Come evitare la guerra con Pyongyang
Secondo Rice, quindi, sarebbe più saggio, e più efficace, seguire una linea moderata per cercare di ottenere quattro risultati: partendo dal presupposto che Kim Jong-un non rinuncerà mai al suo arsenale nucleare, sarebbe bene tornare a un modello di deterrenza più tradizionale convincendo Pyongyang che l'unica risposta possibile ad un attacco nucleare sarebbe la distruzione immediata e totale del paese. Stesso discorso qualora emergessero prove in merito a un ipotetico trasferimento da parte della Corea del Nord di tecnologie e capacità nucleari verso un paese terzo.
Trump dovrebbe poi rinunciare a questa retorica aggressiva che non fa altro che alzare i toni del confronto, e spendere più tempo a rassicurare gli alleati sulle capacità anti-balistiche dell'America. Ancora, Washington dovrebbe spendersi di più per fare in modo che le sanzioni vengano applicate correttamente e cercare di coordinarsi meglio con la Cina, altro paese interessato a evitare che gli equilibri della Penisola coreana degenerino verso il conflitto aperto.
Problemi aperti da risolvere
Per quanto il punto di vista di Susan Rice sia astrattamente condivisibile, purtroppo sembra non fare i conti con alcuni elementi nuovi che contraddistinguono la Corea del Nord di Kim Jong-un. Anzitutto il fatto che ciò che ha funzionato con Kim Jong-il potrebbe non sembra funzionare con il figlio.
In secondo luogo, la Corea del Nord fino ad oggi ha rifiutato qualsiasi forma di confronto, circostanza che ha portato anche Cina e Russia ad assumere toni più minacciosi nei suoi confronti, pur non raggiungendo gli estremi di Trump.
Infine, il dialogo con la Cina resta auspicabile, ma Pechino e Washington non potranno mai definire una strategia comune per affrontare la crisi coreana senza aver prima risolto il problema dello scudo antimissile (il Thaad) che la Corea del Sud ha ottenuto dall'America. Uno scudo che, per Seul, è fondamentale per proteggersi da Pyongyang, e che per Pechino interferisce troppo con i suoi movimenti in Asia.
I segnali positivi
Osservando questo intricato gomitolo di prospettive e interessi con più attenzione, però, si nota come qualcosa si stia muovendo, e forse addirittura nella giusta direzione.
Il nuovo governo sudcoreano a giugno ha sospeso (ma non cancellato) l'installazione del Thaad; Cina e Russia hanno accettato di applicare sanzioni particolarmente punitive verso Pyongyang e, per il momento, sembra le stiano anche rispettando; Seul e Tokyo si sono dette pronte a intervenire per abbattere un eventuale missile lanciato verso Guam e nessuno ha contestato questa loro iniziativa.
Quello che manca, e in questo può avere ragione la Rice, è un segnale forte da parte degli Stati Uniti. Le opportunità non mancano: agosto è il mese in cui Corea del Sud e Stati Uniti organizzano sempre esercitazioni militari al largo della Penisola coreana. Pechino ha recentemente invitato Washington a interromperle in nome della "doppia sospensione", cui dovrebbe dare seguito anche Kim Jong-un bloccando i test missilistici. Speriamo che questa coincidenza temporale convinca Trump della validità di cambiare atteggiamento.