Così Putin ha messo a tacere le opposizioni
Complice la crisi ucraina, ha raggiunto livelli di popolarità molto alti: non sarà l'omicidio di un ex braccio destro di Eltsin a impensierirlo
C'è stato solo un momento nella storia recente russa in cui gli oppositori hanno alzato la testa cullandosi nell'illusione che fosse possibile davvero dare la spallata finale allo zar. Quel momento è coinciso grosso modo con la cosiddetta primavera bianca, una serie di proteste di massa contro i brogli elettorali effettuati dal Cremlino scoppiate a Mosca tra la fine del 2011 e i primi sei mesi del 2012 che si sono tutte concluse con il riflusso o con una, manifesta o strisciante, repressione politica e giudiziaria.
Era il periodo in cui Putin aveva deciso di ricandidarsi al Cremlino dopo aver ottenuto una modifica della Costituzione che allungava i tempi del mandato presidenziale da quattro a sei anni. Quel momento di illusioni e proteste organizzate dai leader di pezzi della classe media moscovita - che toccò il suo momento culmine con la grande mobilitazione di Piazza Bolotnaya a Mosca del maggio 2012 - ora sembra archiviato. Archeologia. La Russia, complice la crisi in Ucraina, sembra di nuovo pacificata sotto la guida, benedetta dalla Chiesa ortodossa, dell'ex agente del Kgb in Germania est: un gatto dalle nove vite, ricchissimo, potentissimo e soprattutto molto informato, in grado - in qualità anche di ex direttore del servizio segreto russo - di sapere pressoché ogni cosa dei suoi avversari, gran parti dei quali - come lo stesso Boris Nemtzov, assassinato ieri a Mosca - ricattabili, compromessi, perché in gran parte provenienti dalle fila di quella vorace oligarchia che è diventata ricca nei primi anni 90 sulle ceneri delle selvagge privatizzazioni volute dagli uomini di Eltis.
Tutti i leader dell'opposizione sono oggi ridotti al silenzio o rintanati, quando non sono stati condannati a lunghe pene detentive, nei piccoli e irrilevanti circoli liberali di Mosca. I canali di informazione indipendenti, come la tv Dozd, sono pochi e comunque fanno presa soltanto nelle grandi città e nella classe media istruita della capitale. Alexei Navalny, il popolare blogger nazionalista che nel 2013 si candidò a sindaco di Mosca contro il predestinato di Russia Unita ottenendo un ragguardevole 27% dei voti, ha subìto una condanna a 15 anni di prigione dopo aver denunciato il sistema corruttivo dell'entourage putiniano. Le Pussy Riot, verso le quali Putin è giunto personalmente a chiedere una condanna clemente, si sono praticamente liquefatte dopo il campo di lavoro siberiano. Ma ad ogni modo, al di là del grande eco che le loro provocatorie performance hanno avuto sui media occidentali, non sono mai state molte amate in un Paese che non perdona la profanazione dei simboli della Crisianità ortodossa. L'ex magnate del petrolio Kodorkovsky - dopo la grazia concessa da Putin - non è in grado, ammesso che ne abbia intenzioni, di coagulare un progetto popolare di alternativa al putinismo: troppo compromesso, l'ex patron della Yukos, con l'era dei saccheggi oligarchici nel periodo di Eltsin.
Rimangono intellettuali, scrittori, scacchisti di fama mondiale come Garry Kasparov, figure provocatorie come il leader del partito nazionalbolscevico Eduard Limonov e un pugno di giovani idealisti e attivisti dei diritti umani nelle grandi città. Ma la pancia della Russia è altrove. La guerra in Ucraina, la recessione, il grave deprezzamento del rublo e i problemi di bilancio dovuti al calo del prezzo del petrolio, anziché scalfire il potere dell'uomo del Cremlino, lo hanno reso paradossalmente più saldo. Il gradimento, rilevato nei sondaggi dopo la decisione di annettere la Crimea e di armare i filorussi nell'Ucraina orientale, è tornato alle stelle: il 70% dei russi è con lui.
Non sarà il misterioso omicidio di un oppositore che ricoprì cariche di grande responsabilità nella tragica epoca eltsiniana a rivitalizzare il variegato e contraddittorio fronte degli oppositori, che ha cercato di tenere insieme istanze liberali e nazionaliste, pezzi di oligarchia caduta in disgrazia e attivisti in buona fede. Non è accaduto per Anna Politovskaya, la coraggiosa giornalista della Novaya Gazeta che denunciò la brutalità delle forze russe in Cecenia, non è accaduto per il suicidio - vero o presunto - dell'ex oligarca antiputiniano Berezovky a Londra. Difficilmente accadrà per Nemzov. Il suo passato oligarchico e le sue simpatie per il nuovo corso filoeuropeista di Kiev erano un fardello inspendibile nella Russia di oggi. Putin può ancora dormire sonni tranquilli. Avere giocato con successo la carta del nemico alle porte (leggasi Nato) sul fronte occidentale ne ha rafforzato enormemente la popolarità in patria. L'elité antiputiniana è in rotta o sotto scacco.