Quanto costano all’UE le sanzioni contro la Russia
È una situazione imbarazzante e paradossale quella in cui si trova l’Europa all’indomani dell’avvio del pacchetto di sanzioni nei confronti della Russia.
Se, infatti, da una parte il pugno duro dell’Europa avrà un impatto immediato di circa 186 miliardi di euro sull’economia russa per il blocco della parte in euro delle riserve della banca centrale russa, dall’altra il vecchio continente per acquistare la stessa quantità di gas petrolio e carbone comprata nel 2020 da Mosca, ai prezzi di oggi, pagherà alla Russia circa 260 miliardi di euro, cioè un quinto del Pil russo e finirà per ripagare di tasca propria il prezzo stesso delle sanzioni.
Mentre, quindi, l’UE cerca di bloccare la Russia strangolandola da un punto di vista finanziario, paga in prima in prima persona (e con valuta forte) i costi di quella guerra che eticamente, politicamente ed economicamente condanna.
A fronte della caduta libera del rublo (nella giornata di ieri ha perso il 33% del suo valore di mercato) l’Europa, infatti, continua a sborsare denaro per le sue forniture in euro (il circuito Swift non è stato bloccato per gli istituti di credito bancari maggiori, ovvero Gazprombank e Sberbank, le cosiddette «Banche del gas») di fatto fornendo valuta forte alla Russia che, in questo modo, è in grado di finanziarsi la guerra.
Nella giornata di giovedì il prezzo del gas europeo sul mercato di Amsterdam era rincarato del 42,2%. Un ulteriore balzo in avanti su valori più che duplicati da inizio anno. Il carbone ha fatto registrare un rincaro del 33% e ormai tratta al triplo dei prezzi del primo gennaio; quanto al petrolio (Brent), è cresciuto del 6% e scambia ai massimi dal 2014. Una corsa al rialzo che non potrà durare in eterno, ma che fa tremare l’Unione stretta tra la morsa bellica e il terrore della recessione.
Del resto l’Europa sarebbe stata ingenua a credere di poter sopravvivere senza le risorse energetiche che arrivano dall’altra parte degli Urali considerando che il 45% dell’energia consumata alle nostre latitudini viene proprio da lì.
La miopia strategica del vecchio continente (secondo alcuni analisti è dal 2014 che – con le prime tensioni in territorio ucraino – l’UE avrebbe dovuto sdoganarsi da Mosca da un punto di vista energetico) costa 800 milioni di euro al giorno (dei quali 80 vengono dall’Italia) all’Unione europea, ovvero il prezzo speso per rifornire di energia e materie prime d’importazione gli stati nazionali.
Da questo cul de sac, in questo momento, è difficile uscire. Da una parte il disgusto dell’opinione pubblica e dell’intero occidente per quanto sta accadendo a Mosca; dall’altra l’impossibilità di sottrarre dall’oggi al domani le risorse fossili russe ai consumi europei senza cadere in una pesante recessione.
Mosca, al momento, non cede di un passo nonostante il bombardamento sanzionatorio che le è giunto addosso. Come ricorda Forbes, infatti, è vero che il primo grande pacchetto di sanzioni è stato approvato e comunicato da Josep Borrell, Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza dell’Unione, lo scorso 25 febbraio, ma via via l’UE ha aggiunto nuove misure restrittive.
Oltre a congelare i beni del presidente russo, Vladimir Putin, e del suo ministro degli Affari esteri, Sergej Viktorovič Lavrov l’UE ha scelto di limitare l’accesso della Russia ai più importanti mercati di capitali prendendo di mira il 70% del mercato bancario russo. Inoltre è stato fatto divieto di sposare i capitali degli oligarchi russi in paradisi fiscali sicuri e sono state escluse sette grandi entità bancarie dal circuito di pagamento internazionale Swift.
A tutto ciò si unisce il blocco del sistema dei trasporti con il divieto di esportazione di beni e tecnologie, lo stop ai visti diplomatici e il divieto di acquistare strumenti che possano avere una duplice funzione di difesa e sicurezza.
Il braccio di ferro tra Russia e Occidente, dunque, è appena cominciato e mentre le bombe piovono sull’Ucraina l’intero sistema di interdipendenza russo-europeo sa che la partita bellica più dura è tutta da giocare sul tavolo della diplomazia economico politica.
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